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Il centro commerciale fuori dal mondo

Publie le lunedì 25 settembre 2006 par Open-Publishing
1 commento

Consumo-Pubblicità Sociale Analisi Alessandro Ambrosin

di Alessandro Ambrosin

Quando si varca la soglia si è subito colpiti da una miriade di suoni odori e luci multicolori che inebriano la mente e ti proiettano violentemente in un mondo ovattato costruito per le menti già plasmate dalla televisione. Sono i centri commerciali, piramidi egiziane artificiali edificate nelle zone più impensate delle città, radicate così bene al terreno che le ospita in modo da celare sempre la loro invulnerabilità. I negozi pilotati dalle maggiori multinazionali sono perfettamente allineati, come una squadra da combattimento. Vetrine preparate con precisione, colori piacevoli che vogliono evocare questo senso di onnipotenza del capitale. Inconsciamente alla portata di tutti.
Piccini, grandi e anziani si ritrovano in questi palazzi costruiti senza tralasciare il benché minimo dettaglio. Al suo interno si è una grande famiglia, dove nessuno si parla, pochi ridono e tanti girano alla ricerca di quello che non troveranno mai.
Solo qualche bisbiglio ascoltato tra i corridoi faraonici ti fa capire in quale città ti trovi. Perché qui vige un’unica lingua: il dio denaro.

Il centro commerciale, così come si è diffuso sia in Italia sia in Europa negli ultimi vent’ anni, è solo una delle molte disastrose espressioni della mono-funzionalità. Il suo iniziale successo economico ha incoraggiato le imitazioni e molti altri tipi di ghetti enormi, specializzati, sono stati costruiti seguendo la diffusione delle idee di Le Corbusier (fondatore dell’architettura moderna).
Marco Paolini nel suo monologo “Bestiario Veneto”, li paragona ad astronavi che violentemente si posano nel suolo, stravolgendo tutto ciò che gli è attorno.
I nomi scelti non lasciano dubbio sulla sete di conquista a cui si ispirano, spaziando nella miriade di avventure storiche e romantiche che hanno segnato la nostra memoria: Marco Polo, Raffaello, Giotto, Leonardo, Galileo,...

Il centro commerciale è un esempio estremo, ma non certo l’unico, di sostituzione della complessa miscela della forma urbana sviluppata naturalmente con forme artificiali e dunque sterili.
I centri commerciali sono stati incrementati esponenzialmente negli ultimi 20 anni e il concetto si è diffuso pressoché ovunque, ma allo stesso tempo si è verificato un tragico abbassamento del livello qualitativo, per molti motivi. Le idee ambientali e umanistiche che stavano alla base dei vecchi negozi, delle botteghe degli artigiani, pur non perfettamente espresse, non solo non sono state sviluppate, sono state completamente dimenticate. Sono state copiate solo le caratteristiche che si sono rivelate fonte di profitto.

Lo stupro territoriale delle aree commerciali continua a colpire le grandi città, le periferie e le zone dove ancora resiste quel poco di verde.
Negli ultimi cinque anni alcuni si sono svegliati rispetto ai pericoli che portano con sé tutte le enormi concentrazioni di centri commerciali. Fra le ragioni di questa crescente preoccupazione ci sono l’inquinamento atmosferico (i centri commerciali sono nella maggior parte raggiungibili solo con l’auto), il degrado del paesaggio, l’impatto ambientale e la chiusura dei piccoli negozi .
Anche il numero dei centri commerciali progettati, non costruiti o costruiti, ma che si rivelano fallimenti economici, sta crescendo con ritmi allarmanti. Nell’accezione corrente, dopo anni di stupri nel territorio si delinea sempre più l’idea che i centri commerciali non abbiano più alcun futuro. Gli inequivocabili segnali della sua caduta sono già riconoscibili.

Quando ritorni alla tua auto nei mega parcheggi sotterranei con impeto cerchi la via di fuga, verso la luce. Quando ti ritrovi abbagliato dai raggi del sole ingrani la terza e hai già dimenticato questo brutto sogno.

Messaggi

  • Non condivido pienamente le tesi dell’articolo. In particolare credo che non si assisterà ad una scomparsa degli attuali mega-centri commerciali, ma ad una loro trasformazione- degrado. Avverrà la cosidetta "walmartizzazione", ciòè una loro mutazione in centri di vendita low cost, in cui verranno commercializzati prodotti "spazzatura" prodotti nelle fabbriche orientali neo-schiaviste e venduti da personale iper-sfruttato, precario, non sindacalizzato e sottopagato. Le scenario purtroppo è questo e non c’è da farsi molte illusioni !! Per chi volesse approfondire queste tematiche consiglio la lettura del libro "No Logo" di Naomi Klein.
    MaxVinella