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L’Iraq precipitato nella guerra civile. L’Italia sbanda, esposta a ogni rischio

Publie le venerdì 24 febbraio 2006 par Open-Publishing

Dazibao Guerre-Conflitti Religioni medio-oriente

di Rina Gagliardi

In Iraq è ormai guerra civile, e carneficina quotidiana, con un governo che non c’è, e quel che c’è appare come una pura dependance di Teheran e del fondamentalismo sciita. L’intero mondo islamico è in preda alla rivolta religiosa (e sociale), in un clima che sfiora ormai ogni giorno lo scontro di civiltà. I rapporti tra Italia e Libia, a dispetto delle rassicurazioni berlusconiane e delle promesse finiane, restano molto tesi: “Roma faccia gesti concreti o rischia un attentato”, avverte tramite un colloquio con l’inviato del Corriere l’ex-terrorista libico Noman Benotman.

Quando mai una campagna elettorale si è svolta in un contesto internazionale così drammatico? E quando mai un governo - il governo Berlusconi - è apparso, al tempo stesso, così inadeguato, così diviso e così incapace di controllare la situazione politica? Certo, ogni competizione elettorale generale, in un paese “di frontiera” come l’Italia, contiene in sé e per sé un’esposizione al rischio.

Stavolta il rischio è moltiplicato: perché lo scontro, anche quello interno, è duro e la posta in gioco è un cambio di regime; perché negli ultimi cinque anni la politica estera italiana è franata, anche in alcuni capisaldi tradizionali, e ha reso il Paese un’appendice subalterna all’asse Usa-Israele; perché, se finora siamo stati risparmiati dal terrorismo, siamo - purtroppo - l’unico alleato di un qualche rilievo della guerra di Bush che ancora non abbia vissuto attacchi davvero pericolosi. E perché questo governo - ecco il punto più inquietante - non garantisce nulla.

Nel centrodestra sta crescendo con drammatica rapidità lo scontro tra “falchi” e “colombe”, tra “moderati” e islamofobi irresponsabili. La sceneggiata dell’ex-ministro Calderoli, in questo senso, non è stata certo né casuale né improvvisata: è stata un atto politico determinato, freddamente calcolato, per spingere l’asse della stessa politica estera italiana in una direzione ancor più sciagurata. Ora, quando l’“incidente” pareva risolto, la Lega fa quadrato attorno all’uomo della sciagurata maglietta - su Radio Padania, “Roberto” è trattato come un “eroe”, con decine e decine di deliranti telefonate.

Neanche questo è un caso, e non è detto che sia dettato soprattutto da calcolo elettorale, dalla smanie “terzopoliste” di quelli che, Maroni in testa, vogliono sganciarsi dal centrodestra e costituire una estrema destra in piena regola, una variante ancor più scatenata del lepenismo. Ora, il ministro Castelli spara a zero su Fini e arriva a dire che “il terrorismo islamista è come il nazismo”, un’altra dichiarazione avventurista, che evoca climi guerreschi e crociate. E la famigerata Fallaci, da New York, annuncia che sta disegnando con le sue mani un “vignettone” con l’immagine di Maometto “ritratto con le sue nove mogli e le sue concubine” - l’ultima delle provocazioni partorite dalla perversa mente della scrittrice, che però il presidente della giunta regionale toscana ha voluto insignire di una medaglia al merito. (Significativa, tra le proteste, quella di Giulio Andreotti, secondo il quale l’incitamento all’odio tra i popoli e le religioni non dovrebbe proprio esser premiato).

Aggiungiamo che nello schieramento in guerra con l’Islam, quello che invita l’Europa e l’Italia “a non genuflettersi”, e a difendere le sue “radici cristiane”, vi è pur sempre la seconda carica dello Stato, Marcello Pera. E lo stesso suo omologo di Montecitorio, il moderato Casini, si è messo a rincorrere questo terreno. Infine: che dire degli articoli quotidiani di Magdi Allam, che ora difende i leghisti e arriva a “denunciare” l’eccesso di scuse alla Libia? Un tale isterismo può esser davvero soltanto frutto del caso? Come minimo, autorizza molti e non buoni sospetti.

Di fronte a questa insorgenza estremista, che esplode nel suo seno, la Casa delle libertà e il governo arrancano. Cercano di correre ai ripari - come ha fatto Fini, che ha rovesciato di 180 gradi la sua posizione e non ha potuto che inchiodare Calderoli alle sue dirette responsabilità. Come ha fatto lo stesso Berlusconi in un’intervista ad “Al Jazeera”, parlando di pace e di dialogo, della necessità di chiudere la prigione di Guantamano, dell’imminente (?) ritiro delle truppe italiane dall’Iraq. Come fa il ministro Pisanu, che si sforza di lanciare quotidiani messaggi di rassicurazione.

Ma sono tutti gesti visibilmente dettati dalla paura - chiacchiere abborracciate, improvvisate, prive di una qualsiasi visione strategica, e comunque in flagrante contraddizione con tutto ciò che finora, in questi anni, l’Italia ha fatto (e non ha fatto). In breve: man mano che ci si inoltra nella campagna elettorale, la coalizione di centrodestra si disgrega, e le sue componenti più reazionarie scorazzano liberamente - forse accarezzano un disegno. Ma, senza pensare a chissà quali complotti, non è difficile immaginare che non siano pochi coloro che paventano il successo dell’Unione, nonché un’affermazione forte delle sinistre.

Vale, questa constatazione, anche a livello internazionale. Per quanto i centristi dell’Unione si sforzino, come Rutelli, di preconizzare una “piena” continuità del possibile prossimo governo con la politica estera berlusconiana, per quanto le alleanze generali dell’Italia non siano in discussione, il cambio di governo dispiace a molti. Certamente dispiace all’amministrazione Bush e al governo di Tel Aviv. Certamente non piace ai numerosi “falchi” che sono presenti in vari governi occidentali. Anche qui, non è necessario ipotizzare eventi o interventi “anomali”: basti aver chiaro che, anche da questo punto di vista, il clima non si annuncia, nient’affatto, come “normale” o di ordinaria amministrazione.

Che fare, in questo clima? L’unico antidoto che conosciamo - e che siamo in grado di mettere in atto - è un “pieno” di politica, di politica alta, di mobilitazione civile, di grande battaglia culturale. Più che mai (ma è sempre successo così) la sinistra è la sola forza che può garantire dalla precipitazione selvaggia dello scontro, dal prevalere dell’irrazionalismo, dai “mostri” di vario tipo. Più che mai, serve una campagna elettorale a tutto campo, oltre i rumori televisivi e i gossip mediatici. E, come si usava dire nei tempi antichi, “vigilanza” rivoluzionaria....

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