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LE COUPERET

Publie le mercoledì 29 giugno 2005 par Open-Publishing

Dazibao Cinema-video - foto Enrico Campofreda

de Enrico Campofreda

Turbocapitalismo da crimine perché criminale lui stesso. Certo la soluzione scelta da Bruno Davert, manager ad altissima specializzazione nell’industria cartaria, dopo aver subito il licenziamento è una via inverosimile. Eppure lui non fa altro che esasperare la filosofia dell’homo homini lupus che il capitale globalizzato ha rilanciato in barba all’età dei lumi, della civilizzazione dei rapporti, delle riforme. Niente di tutto questo sembra più esistere nella nostra società, solo profitto industriale e guerra di tutti contro tutti per mantenere uno status che si può perdere in un battito di ciglia.

E Bruno, che a quarantuno anni cerca un nuovo lavoro e constata l’impossibilità di trovarlo nonostante le solidissime referenze, per conservare la villetta dove abita con Marlene e due figli e il conseguente menage borghese adotta uno stratagemma. Intercetta tramite una casella postale truccata i curricula dei colleghi disoccupati (la delocalizzazione ha fatto strage di posti manageriali) e, selezionati quelli che avrebbero più chances di lui, inizia a farli fuori. Sì, a ucciderli con la vecchia luger del padre SS, conservata come una reliquia. Bruno è un uomo all’apparenza tranquillo, però la perdita del lavoro lo sta ogni giorno consumando, gli scava un’inadeguatezza assolutamente insostenibile sul piano psicologico prima che sociale. E allora quella che può sembrare follia rientra in pieno nella realtà dei “piccoli omicidi” di questo mondo che assume sempre più connotati da far west. Quando Bruno va a provare la mira in una boscaglia vicino casa, incrocia soggetti in tuta mimetica che fanno altrettanto coi loro kalashnikov, come fossero i mercenari di Karadzic a Pale. Viviamo in un mondo di serial-killer, potenziali o tali.

Fatti fuori un paio di concorrenti, e anche la moglie d’uno di loro che incautamente s’era frapposta al piano, Bruno ha con qualche sua vittima scambi d’opinione. E quasi s’intenerisce perché constata come questi uomini vivano il medesimo dramma, e per sbarcare il lunario devono accontentarsi del lavoro di camerieri o commessi. Si sentono frustrati, vorrebbero lanciare un collettivo grido di dolore e magari di lotta che, per quanto inascoltato e improduttivo, è permesso solo alle maestranze. I dirigenti sono in perenne competizione e devono scannarsi fra loro, tale è il pensiero dei cinici selezionatori delle aziende quando li sottopongono a umilianti colloqui. Monsieur Davert perciò non fa altro che adeguarsi. Al terzo cadavere la polizia comincia a indagare sulla misteriosa moria di manager e va anche a casa Davert. Che oltre a una crescente crisi di rapporto: Bruno è nervoso, apatico, assente e Marlene si sente abbandonata, si ritrovano col figliolo Maxime fermato per reiterati furti ai magazzini.
Il padre, ormai diventato esperto d’illegalità, per salvare Maxime da una condanna si disfà del bottino del ragazzo. Poi segue Marlene, che forse lo tradisce, recandosi con lei da uno psicologo di coppia. La terapia sblocca i coniugi che iniziano dopo mesi a comunicare, Marlene appare rasserenata. Lei è una donna ingenua, vede gli strani comportamenti del marito che sparisce per compiere i delitti, ma nulla gli chiede e di nulla s’insospettisce.

Bruno per realizzare il suo piano vive ormai sotto pressione, saputo che la polizia cerca una luger getta via l’arma e ricorre ad altri sistemi: coltellacci da macellaio che nasconde sotto il trench girando in macchina o in tram. La pellicola, che si dipana come un thriller classico, ha momenti hitchcockiani con situazioni che mescolano tensione e paradossi, paura e sorrisi. Dopo ogni goffa uccisione l’uomo pratica un lungo lavacro sotto la doccia, si sfrega il corpo per purificare l’anima ma non si sente colpevole. E’ costretto a fare ciò fa dalla crudezza del mercato, dei tempi, d’un sistema che subisce e al quale adegua la strategia ritenuta più efficace. Poi si siede a tavola con moglie e figli senza far trasparire nulla. E’ l’illecito che diventa pane quotidiano non nelle regioni infestate dalla malavita ma nel cuore dell’Europa cattolica o protestante che sia. Sono la violenza, l’ipocrisia, l’individualismo diventati nostri valori supremi ai quali è impossibile rinunciare.
E nella sua tranquilla, lucida pazzia Bruno riesce a portare a termine il suo ‘lavoro’ sbaragliando ogni concorrente e anche il manager della società Arcadia di cui vuole rilevare il posto. Il colpo gli riesce alla perfezione e può comparire rasserenato e soddisfatto nel video pubblicitario della grande cartiera. Fino a quando da quel video il suo volto viene estrapolato e riprodotto in una foto che finisce in un dossier. Simile a quelli ch’egli stesso usava per individuare i concorrenti da eliminare. Bruno ancora non lo sa ma da cacciatore sta diventando preda.

Fra i coproduttori del film Jean Pierre e Luc Dardenne, recenti vincitori della Palma d’oro a Cannes con la bella pellicola di denuncia “L’enfant”. C’è anche il loro attore-simbolo: Gourmet Di Olivier. Forse i fratelli belgi hanno ispirato Costa-Gavras, famoso per una cinematografia politica che ha fatto epoca, comunque il nuovo cimento del regista greco rappresenta un significativo ritorno a quell’uso macchina da presa che fa pensare e incentiva impegno e passione.

Regia: Costa Gavras.
Sceneggiatura: Costa Gavras, Jean-Claude Grumberg.
Tratto da un romanzo di: Donald Westlake.
Direttore della fotografia: Patrick Blossier.
Montaggio: Yannick Kergoat.
Interpreti principali: José Garcia, Karin Viard, Olivier Gourmet, Geordy Monfils, Christa Theret.
Musica originale: Armand Amar.
Produzione: Les Films du Fluve, Michèle Ray-Gavras.
Origine: Belgio, Spagna, Francia 2005.
Durata: 122 minuti.

Info Internet: Cinematografo.