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La stella di Silvio Berlusconi comincia a declinare

Publie le sabato 18 ottobre 2003 par Open-Publishing
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Governi Rina Gagliardi

LIBERAZIONE 16-10

La fine di un blocco politico

La stella di Silvio Berlusconi comincia a declinare

di Rina Gagliardi

Chi vive a sud della linea gotica non può leggere la Padania e smarrisce così un’opportunità
quotidiana: il confronto, appunto quotidiano, con una dimensione di barbarie politica, culturale,
civile, difficilmente immaginabile. Ieri, per esempio, il giornale leghista dedicava la bellezza di
cinque pagine non solo alla denuncia del "complotto" dei palazzi romani (leggi: Quirinale,
Massoneria, Chiesa cattolica e così via) contro la Lega Nord e il "suo" governo, ma alla crocifissione
dell’on. Gianfranco Fini, rappresentato ora come il leader di Alleanza comunista ora come una quinta
colonna dell’Islam, comunque soprattutto come l’emblema del tradimento, con la T maiuscola. Due
fitte pagine di lettere vomitano (ci si scusi il verbo, è l’unico adeguato) addosso al malcapitato
lettore i più biechi luoghi comuni del razzismo, dell’intolleranza, della violenza populista di
governo: tra i versi (?) di «Fini vigliacco subirai uno smacco» e proposte sarcastiche («e se
concedessimo a loro anche lo jus primae noctis?») spicca una lettera firmata da un nutrito gruppo di forze
dell’ordine milanese che annuncia la decisione che mai e poi mai voterà più per Alleanza
nazionale. Il linguaggio, gli argomenti, i riferimenti trasudano di nostalgie fasciste e nazionali. Non
manca neppure quello che rivolge il suo saluto al "Dio Cimbro del Po", non mancano neppure squallidi
insulti machisti a Rosi Bindi e Livia Turco. Ma non è né folklore né avanspettacolo: è qualcosa di
assai più inquietante e profondo.

Sull’odio verso gli immigrati, i meridionali, gli intrusi (ma anche verso le donne, la cultura,
gli intellettuali di sinistra e tutto ciò che mette in causa il "modello padano" di vita),
sull’egoismo sociale incontrollato, nonché sulla paura del mondo (del "mondialismo globalizzato"), la Lega
si gioca da sempre la sua identità, radicata nella piccola borghesia spaventata del profondo Nord.
Oggi essa rilancia la sua partita a livello nazionale, perché sa di essere la forza politica,
all’interno del centrodestra, meno sfiorata da crisi identitarie o da dubbi di strategia: quella che
in sintesi può ricattare tutti, Berlusconi compreso, con il suo profilo spregiudicatamente
estremista, i suoi eccessi calcolati, la sua smodatezza ideologica. Per la verità, Bossi ha imparato da un
pezzo, nelle sue frequentazioni di "Roma ladrona", l’arte della politica pura e perfino della
manovra tattica, facendo interamente propri il modello craxiano del celebre brigante di Radicofani
nonché la pratica dello stop and go. Tuttavia, indiscutibile è la sua sintonia con il lumbard che non
sopporta la "puzza" degli extracomunitari, un’improvvisa preghiera di un islamico, all’angolo di
una strada qualsiasi: la capacità contrattuale del capo leghista sta anche e soprattutto in questa
corrispondenza reale, in questa capacità di far politica usando tutte le armi dell’antipolitica e
del senso comune disgregato.

Dunque, la battaglia che infuria all’interno del centrodestra e del governo Berlusconi ha un
fondamento concreto, tutt’altro che teatrale. In un senso preciso, la Casa delle libertà è finita: è un
blocco politico, e politico-sociale, che a questo punto non sta più insieme, per ragioni oggettive
(la crisi economica) e soggettive (lo scontro di culture politiche), processi in corso ormai
ampiamente analizzati. Ora, il loro problema è quello di ricostruire una coalizione vincente: la guerra
tra Bossi e Fini si colloca in questo contesto relativamente nuovo nel quale, per amore o per
forza, per volontà degli elettori o per accidenti giudiziari, la stella di Silvio Berlusconi comincia
comunque a declinare. Da un lato ci sono le forze, con la Lega sulla plancia di comando, che
puntano su una organica fascistizzazione della destra italiana: i modelli, anche qui sono molteplici,
ma su tutti domina quello del presidente americano Bush, dei falchi-falchi dell’attuale
amministrazione di Washington, del variegato arcipelago neo-con. Dall’altro lato, c’è la destra per bene in
costruzione, con il sollecito scatto del leader di An e la sua più che esplicita candidatura a
guidare un’operazione "moderata", che apparenti la destra italiana ai conservatori francesi, ai
popolari spagnoli ai democristiani tedeschi. Logico che una parte del padronato e delle istituzioni
forti guardi con interesse a questo tentativo, con il quale potrebbe nascere finalmente (?) quella
destra cosiddetta normale che tanti, anche a sinistra, hanno tante volte invocato. Ma davvero una
destra siffatta avrebbe i numeri per vincere e per rendere marginale l’altra destra, quella senza
doppipetti e senza bon-ton? Questo è il problema che travaglia i nostri avversari: disuniti, perdono,
uniti non possono più rimanere. Comunque per noi sono solo buone notizie.

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