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NEPAL: Parla Prachanda - Capo dei ribelli maoisti

Publie le venerdì 30 settembre 2005 par Open-Publishing

Dazibao Guerre-Conflitti Internazionale

Il comandante Prachanda annuncia la tregua unilaterale. E chiede in cambio libere elezioni. Un’analisi della situazione e un’intervista al leader rivoluzionario

di Barbara Monachesi

Pushpa Kamal Dahal, leader dei ribelli maoisti, noto con il nome di battaglia di ’Prachanda’, ha annunciato un cessate il fuoco unilaterale per un periodo di tre mesi, invitando il Re a non interpretare questo gesto come segno di debolezza e avvisando che i suoi uomini avrebbero in ogni caso mantenuto una posizione di ’difesa attiva’.

I due precedenti momenti di tregua che, nel 2001 e nel 2003, hanno intervallato la guerra tra maoisti e governo iniziata nel febbraio del 1996, erano entrambi il risultato di un accordo tra le parti e di un tentativoi di negoziazione. Oggi invece i ribelli, forti di alcune recenti vittorie peraltro taciute dai mass media nazionali, sembrano preoccupati esclusivamente dell’opinione dei maggiori partiti politici del paese, dimostrandosi del tutto indifferenti davanti alla possibile reazione, di adesione o di condanna, del monarca.

In attuazione del cosiddetto ’sentiero di Prachanda’, i maoisti hanno con questa iniziativa lanciato la nuova fase della loro strategia: attrarre dalla propria parte le forze politiche democratiche del paese, col fine evidente di isolare sempre più il sovrano Gyanendra e tentare la conquista della capitale. Il conflitto tra le forze politiche e la casa reale, esacerbato dall¹ondata di terrore che il Re ha seminato tra le fila dei politici con l’autogolpe del primo febbraio 2005, ha permesso ai maoisti di mettere i propri rivali gli uni contro l¹altro. Il peggior timore del sovrano nepalese, ossia la creazione di un fronte unico tra maoisti e principali partiti politici, sembra oggi sempre più vicino.

All’indomani della dichiarazione del cessate il fuoco, infatti, un’inedita alleanza tra il partito maoista ed i sette partiti politici più rappresentativi nel paese ha dato vita ad una dimostrazione pacifica che si è snodata per le vie di Kathmandu e a cui han preso parte oltre 5000 persone. E mentre la sezione italiana di Amnesty International si prepara ad accogliere (dal 16 al 20 ottobre) Krishna Pahadi, ex prigioniero di coscienza detenuto per mesi nelle carceri della capitale proprio per essersi fatto promotore di un corteo di protesta contro la mossa del primo febbraio, la polizia agli ordini del re non smentisce il suo modus operandi. Chiamato a disperdere la folla della più vasta dimostrazione mai svoltasi dal giorno del fatidico colpo di Stato il personale delle forze dell¹ordine si è fatto largo tra i protestanti a suon di gas lacrimogeni, manganellate ed arresti.

Il destino del paese sembra, oggi più che mai, legato alla strategia dello sfuggevole leader maoista, che guida una rivoluzione a metà tra il modello cinese-maoista e quello russo-sovietico. Stando alle parole del leader maoista, un¹estenuante guerra del popolo, che mira alla creazione di un numero sempre maggiore di zone ’liberate’ facendo leva sulla reazione delle masse oppresse dal regime, deve protrarsi per anni passando da una fase difensiva ad una di equilibrio delle forze per poi arrivare alla fase offensiva.

I maoisti, che si dichiarano ormai giunti a quest’ultima fase, puntano, sulla falsariga della strategia bolscevica culminata nella Rivoluzione d’Ottobre del 1917, a combinare l’avvenuta conquista delle aree rurali con un’insurrezione urbana. Che si voglia o meno credere alla promessa di marcia sulla capitale e di sicura vittoria dei guerriglieri, un dato sembra ormai certo: la pace e la guerra in Nepal sono condizioni imposte dai ribelli. A fugare ogni possibile dubbio sulla natura del trimestre di tregua annunciato dai guerriglieri, concorre un altro dato di cruciale importanza: la dichiarazione congiunta dei maoisti nepalesi e di quelli indiani, rilasciata due giorni prima del cessate il fuoco. Le parole con cui Prachanda ed il segretario generale del Partito comunista indiano hanno concluso un patto tra le fazioni maoiste dei rispettivi Stati, non danno adito ad ambigue interpretazioni. I due leader maoisti, infatti, dopo aver fatto appello alle masse oppresse di tutto il mondo affinché elevino la voce contro i ’diabolici disegni imperialisti’, hanno espresso la loro determinazione a "combattere uniti e a stabilire il socialismo ed il comunismo nelle due nazioni".

Non c’è da stupirsi dunque se, a tre settimane da quello che doveva essere un punto di svolta in una guerra civile che ha già causato la morte di oltre 12 mila persone, la situazione non sembra per nulla migliorata. Se da un lato i maoisti continuano a rapire studenti a fini ’rieducativi’ (l’ultimo caso riguarda ben 109 scolari sottratti da scuola nel distretto di Okhaldhunga), dall¹altro, le forze di sicurezza perseverano nell¹odiosa pratica dei ’ri-arresti’. L’episodio del 22 settembre, denunciato anche da Amnesty International (www.amnesty.org), coinvolge undici persone, tutte ri-arrestate all¹uscita dalla Corte del distretto di Kanchanpur, dopo che i giudici avevano ordinato il loro rilascio incondizionato. È la terza volta che il gruppo, accusato di affiliazione maoista per aver forzatamente partecipato ad un campo di rieducazione, viene arrestato, scarcerato su ordine dell¹autorità giudiziaria e ri-arrestato contestualmente al rilascio.

Intanto il capo dei guerriglieri ha rilasciato un’intervista, che L’espresso ha pubblicato in esclusiva per l’Italia (il testo qui di seguito).

Maoisti e riformisti
Colloquio con il ’comandante Prachanda’ di Maheshwar Dahal

Perché avete deciso questa tregua, proprio in un periodo in cui la guerriglia stava avanzando?
"C’è bisogno di creare un clima nuovo, interno e internazionale, per arrivare a una soluzione politica del conflitto. Deponendo le armi, possiamo invitare gli altri sette partiti nepalesi (dai moderati del Congresso fino ai marxisti-leninisti) a parlare con noi e a esporre chiaramente i loro programmi per uscire dall’impasse".

Già, ma il re pare aver respinto la tregua.
"Se veramente ci attaccheranno durante il cessate-il-fuoco, sarà evidente a tutti che il regime non vuole un processo di pace. E non intende cercare una via di uscita dal conflitto. Insomma, l’annuncio di una tregua è anche un’arma psicologica". Alcuni guerriglieri però mugugnano. Dicono: ma come, una tregua proprio adesso che stiamo ottenendo buoni successi militari... "Per noi le iniziative politiche vanno di pari passo con le vittorie militari. Il futuro del Nepal dipende proprio dal coordinamento tra le azioni politiche e quelle di guerriglia. Saranno i reazionari a venir messi all’angolo dalla tregua, non noi".

Che possibilità ci sono di una vera trattativa di pace?
"Al momento, piuttosto scarse. Solo se il governo dichiarasse di aderire al cessate il fuoco e riconoscesse il diritto all’autodeterminazione del popolo, potrà esserci spazio per un dialogo. Noi siamo sempre disposti a negoziare".

Esiste una via d’uscita politica dalla guerra?
"Il Nepal si trova a una svolta storica. Noi stiamo cercando di favorirla alternando la fermezza alla massima duttilità. La monarchia - che, non dimentichiamolo, in Nepal è ancora di tipo feudale - è rimasta politicamente isolata, specie dopo il putsch fatto dal re nel febbraio scorso. In questa fase, tutte le forze democratiche devono coalizzarsi per abbattere Gyanendra".

Quali sono i rapporti tra voi guerriglieri e i partiti di Kathmandu?
"Mi pare che la nostra decisione di dichiarare una tregua li abbia spinti a compiere qualche passo in avanti. Però sono molto titubanti, confusi. Alcuni dei loro capi poi collaborano con il re, e questo ci lascia perplessi. Restiamo però fiduciosi che col passare del tempo la situazione migliori".

Se il re Gyanendra riaprisse il parlamento, riammettendo i partiti che vi erano rappresentati, voi non rischiate di restare esclusi dai giochi?
"So bene che il Palazzo può tentare questa carta. Per questo il nostro obiettivo è convincere i partiti parlamentari a dare vita insieme a noi a un’assemblea costituente democraticamente eletta, che superi quindi il semplice ripristino del vecchio parlamento chiuso dal re a febbraio".

Tutti però si chiedono quale tipo di repubblica democratica voi guerriglieri maoisti intendete davvero costruire in Nepal...
"Vogliamo creare un sistema politico transitorio che affronti i problemi sociali e abolisca le discriminazioni fra i due sessi. Quando diciamo transitorio, intendiamo una via di mezzo fra una nuova repubblica democratica e una parlamentare con una specificità nepalese".

Quali sono i vostri rapporti con la comunità internazionale?
"La comunità internazionale non è schierata in modo unitario sul Nepal. Esistono alcuni centri di potere, all’estero, che stanno tentando di escludere il nostro movimento dal futuro governo, favorendo un accordo tra la casa regnante e i partiti parlamentari, mentre altri vogliono persuadere il re ad accettare la proposta di una monarchia costituzionale. Quello che conta per noi, al di là di questi giochetti, è che si arrivi a una vera democrazia nel nostro paese".

Intanto voi avete sottoscritto una dichiarazione congiunta con il partito maoista indiano... "I guerriglieri nepalesi non sono soli. Il mondo forse non se ne sta accorgendo, ma presto ci sarà un’ondata rivoluzionaria in tutta l’Asia meridionale".

(traduzione di Mario Baccianini)

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