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Nicaragua : Cosa fa la Polizia? - Fuori - A un passo dall’arrivo...o dall’inizio

Publie le martedì 1 marzo 2005 par Open-Publishing

Dazibao Movimenti Governi America Latina

di Giorgio Trucchi

Per il Nicaragua è una notizia allarmante, alla quale la gente non è abituata.
La Polizia attacca, uccide. Per liberare un terreno di pochi ettari occupato da gente povera che aveva costruito baracche per avere un tetto sotto cui dormire.

Il luogo è Chinandega, nell’occidente del paese, la stessa città da cui sette giorni fa sono partiti i bananeros che marciano verso Managua per chiedere giustizia.
Il problema della proprietà è sempre lo stesso e dopo il 1990, con il ritorno in massa degli squali geofaghi di Miami, si è accentuato.

Proprietà confiscate e distribuite alla gente o statalizzate che vengono "restituite" ai vecchi proprietari o che vengono indennizzate a prezzi esorbitanti saccheggiando l’Erario pubblico.

Contadini beneficiati dalla rivoluzione che devono vendere le terre perché ormai nessuno concede prestiti per produrre, per sopravvivere, a questi settori considerati "non soggetti di credito".

Settori "pericolosi", di classe "c" per le banche private. Quelle pubbliche sono state smantellate e i loro attivi fagocitati nel marasma dei governi post rivoluzionari.
Banades, Banic, Banco Popular. Chi se li ricorda più?

Sostituiti da banchieri senza scrupoli che hanno fatto fallire sei banche in pochi anni. Nemmeno uno è finito in carcere.

Il proprietario del terreno situato sulla strada che porta verso Corinto si chiama Cèsar Castillo.

Oltre a chiedere l’intervento della Polizia ha anche assoldato gruppi di persone per sgomberare gli occupanti, con le buone o con le cattive, ma non ce n’è stato bisogno.
La polizia non ha cercato il dialogo, come si pensava che facesse, ma ha attaccato.

Le famiglie si sono difese con pietre, "morteros caseros" e qualche machete.

Il giorno prima sembra che alcuni poliziotti avessero già minacciato di sparare.
E l’hanno fatto con precisione.

Tre i morti. Due colpiti alla fronte e uno al cuore. Cose da cecchini. Polizia che gira ancora con armi da guerra. Con AK 47.

Il leader degli occupanti, Walter Arata Munguia di 42 anni, Walter Bismark Estrada Ramos di 18 anni e Adilia Rivera Urrutia di 39 anni (vedi foto END).

Vari anche i feriti e gli arrestati che verranno processati per terrorismo, apologia del delitto e resistenza a pubblico ufficiale. Sembra che ormai la parola "terrorismo" venga utilizzata per qualsiasi reato. Solo pochi mesi fa anche le proteste degli studenti per il 6% erano state classificate come "terroristiche"...

Molti degli occupanti erano militanti sandinisti, tra cui Walter Arana.

Immediata è stata la condanna da parte del Frente Sandinista che ha minacciato l’immediata denuncia contro il Ministro degli interni e contro lo stesso Presidente Bolaños.

Per il primo è stata richiesta la destituzione.

Alla polizia è stata immediatamente chiesto che venga eseguita una veloce indagine per scoprire chi avesse dato l’ordine di sparare e il Procuratore per la Difesa dei Diritti Umani, Omar Cabezas, ha dichiarato che chiederà la destituzione dei poliziotti colpevoli e che il capo della polizia, Edwin Cordero, si presenti davanti alla Asamblea Nacional per spiegare l’accaduto.

Quest’ultimo ha già dichiarato che nessuno ha dato l’ordine di sparare e che la polizia si è solo difesa.

Il Segretario del Fsln, Daniel Ortega, ha lanciato un discorso estremamente duro contro governo e Polizia, poco dopo aver partecipato ai funerali delle tre persone uccise, dicendo che la polizia ha sparato per uccidere come ai tempi della Guardia somozista e che non permetteranno che questo omicidio resti nell’impunità.

Il governo, brillando sempre per la propria insensibilità e per la sua adorazione all’inviolabilità della proprietà privata, ha cercato di deviare il discorso facendo capire che l’occupazione delle terre era politica e che dietro a tutto questo c’era il Frente Sandinista che incita i propri adepti all’occupazione di terre per mettere in difficoltà il governo e per prepararsi alla nascita del nuovo istituto della Proprietà.

Già si parla che se il Fsln vincerà le prossime elezioni del 2006 inizieranno nuove espropriazioni...

Non si tratta certo di fomentare l’occupazione di terre, ma di affrontare una volta per tutte il dramma della proprietà in Nicaragua e di cominciare a dimenticarsi del luogo comune secondo il quale la Polizia nicaraguense resta un’istituzione popolare perché fonda le sue radici nell’esperienza rivoluzionaria.

Qualcosa sta cambiando, qualcosa è già cambiato e molto velocemente.

Intanto gli occupanti che sono stati sgomberati sono rientrati nelle terre in disputa, hanno ricostruito le loro baracche e si teme per nuove violenze.

La poetessa Rosario Murillo ha inviato una lettera sui fatti accaduti.

Di seguito la traduzione...

DAS KAPITAL

(Chi ha sparato a Chinandega...?)

Il capitale compra. A destra, a sinistra.

Compra sindaci, ruffiani, e trafficanti, e compra poliziotti. Spara contro il prossimo.
Si scaglia duramente, contro la borsa del prossimo, e contro la sua cara, preziosa, vita.

Il capitale è freddo e crudele. Così l’ha stabilito la storia. Il capitale non si pente mai. Cerca di fare... più capitale. Non farà mai il bene, non guarderà mai in faccia a nessuno, se non è per liquidare. Denunce e diritti. Il capitale è vano. E profano.

Il capitale non potrà mai essere giusto. Per natura ed essenza. È ingiusto, abominevole, arbitrario, accaparratore, inarrestabile. Il capitale non si ferma. E si ferma solo davanti alla marcia e al colpo, che deve essere efficace, di chi non ha niente. O molto poco. O solo dignità, necessità ed urgenza. Solo vita.

Il capitale chiede di più, e ancora di più. Come i torturatori. A più crepe e fessure nel muro che li contiene, chiederanno sempre di più. E, ovviamente, colpiranno sempre di più. Per questo motivo quelli che scavano, quelli che perforano le solidità, sono tanto perfidi quanto loro. Sono il peccato capitale...

...Il capitale si svaga. Vive di false offerte, di offerte ingannevoli, delle super vendite, che imbrogliano chi era già imbrogliato, e in questo altro percorso. Quello di strisciare. Tra orme di serpente.

Il capitale cerca persone affini, soci, coppie. Si crea amici tra i suoi nemici, perché calcola, furbescamente, di dinamitare da dentro, l’oppositore che non può comprare. Colui che non può tentare, né truffare.

Il capitale è nefasto; Diabolico; Demoni liberi, seminando odio e discordie, morti e distruzioni, guerre e massacri, polveroni e mulinelli umani. Il capitale è un lusso peccatore, una raffinata estasi, che vive delle agonie permanenti. Malevolo, vile.

Oggi il capitale ha generato nuove vittime. Uomini, ragazzi, donne, bambini, umili, anonimi fino a ieri, anonimi domani.

Ha conficcato il suo pugnale nel cuore dei poveri. Come sempre. E così vuole continuare. Là ci spara e ammazza, senza sporcarsi le mani. Questo capitale, di corpo pulito e senza parassiti, calamitoso di coscienza, colpevole ed assassino, carica e spara, senza rimorso o vergogna.

Il capitale è vigliacco. Paga affinché c’ammazziamo, povero contro povero, senza rischiare niente. Senza rischiare i suoi miserabili guadagni. Aumentandoli, piuttosto. Povero contro povero, ci lancia, senza considerazioni, come cani avidi, a sbranarci gli uni contro gli altri. A farci a brandelli, la pelle e l’anima.

Il capitale traditore e vorace, ruba ed accumula ovunque. Ruba con la giacca e la cravatta. Inoltre si fa accompagnare dai nuovi incravattati.

Si fa apologizzare e leccare. E anche loro, i nuovi imitatori della dimissione, li tratta con la stessa irriverenza.

Come cani sottomessi, addomesticati e sedati, li mette a leccare... avanzi e piatti sporchi. I tozzi di pane del banchetto. Che spregevole e ridicola figura...!

Il capitale ha ucciso Walter, Bismarck, Adilia.

Non possiamo ingannarci, né ingannare. Io non mi vendo oggi, come i cinici, figli di papà, giurando, per Dio, che io non ero lì, che non sono stato la miccia che ha appiccato il fuoco della giusta ira dei contadini; che non sono stato la sua mano e la sua voce, cercando la sopravvivenza; che non sono stato lì per sostenere i loro lamenti. No. Non lo dico. Non darò questo piacere.

Io sono quel contadino, io sono quella famiglia; io sono quella domanda; io sono quell’urgenza; io sono quel dolore; io sono quella condanna...!

E che risponda il Governo del Capitale che usa la Polizia a comando e molte volte a pagamento, per perseguitare, sgomberare e mitragliare i poveri.

Che risponda il Governo del Capitale pragmatico che con il suo gelido cuore, ci lancia tutti i giorni per la strada.

Che risponda il Governo del Capitale, per i suoi piani di ristrutturazione economica, che ristrutturano solo i loro conti, con i quali hanno sfruttato e creato disperati.

E che risponda il neoliberismo, ignobile e bestiale, che ci mette in fila, di fronte a plotoni di fucilazione o in fila, auto immolandoci, come le migliaia di suicidi, disperati per la fame o per le barbare ed umilianti situazioni lavorative. Per la brutalità.

Che risponda ognuno di noi: il Presidente, i/le deputati/e, i/le ministri/e, i/le magistrati/e, i/le segretari/ie, i/le cittadini/e, i Partiti, i Movimenti, le Associazioni, la società molto civile. Che risponda. Rispondiamo.

Chi renderà giustizia a questi poveri che non hanno né giornale, né radio, né trucco, né TV...?

Chi ha raccolto le loro ultime parole...? Chi ha la parola...? Chi, per Dio, prenderà la parola, e la lancerà contro il muro delle lamentele?
Chi farà il discorso funebre...? Chi ricorderà domani le nuove vittime di questo olocausto...? Chi...?

Nessuna coincidenza o casualità. Lo stesso Capitale che paga a Chinandega affinché aprano il fuoco su di noi. Lo stesso nome e cognome appare oggi nei giornali in presentabili società con ex sindaci corrotti, acquistando e vendendo, a prezzi di truffa, proprietà comunali. Che ognuno tragga le proprie conclusioni.
Brindiamo anche per il così detto candidato del futuro. Il così detto candidato corrotto che favorisce il Capitale. Che schifo...!

Come la morte, il Capitale fiorisce da tutte le parti. E fiorisce, come i tradimenti. Come fiorirà anche l’ira sacra che hanno seminato. Che non si spaventino, dunque, quando raccolgano...! Che non gemano...!

Il Capitale non conosce l’Amore. Nemmeno imparerà qualche giorno. Non gli nasce. Non ci riesce. Il Capitale è selvaggio. I capitalisti, i suoi ammiratori, soci e consorzi, sono selvaggi. Ammazzano.

Hanno ucciso ieri. Uccideranno sempre.

24 Febbraio del 2005

Luna Piena


Fuori

Alla fine è successo ciò che era nell’aria già da alcune settimane.
La Asamblea Sandinista, massimo organo del Frente Sandinista, si è riunita in seduta straordinaria ed ha deciso all’unanimità "l’espulsione con disonore" dell’ex sindaco di Managua, Herty Lewites e del suo Responsabile di Campagna ed ex Ministro degli esteri durante gli anni 80, Victor Hugo Tinoco.
Lo svolgimento della Asamblea Sandinista ha anche vissuto momenti di tensione quando, le fazioni contrapposte di militanti sandinisti che appoggiano le candidature alle prossime elezioni presidenziali di Daniel Ortega e di Herty Lewites, si sono scontrate violentemente con tafferugli continuati e lancio di pietre. Alla fine ci sono stati vari feriti.
Mai si erano viste scene come queste all’interno della militanza sandinista.
Herty Lewites si era presentato presso la struttura del Olofito a Managua per partecipare alla Asamblea accompagnato da un discreto numero di militanti, ma gli è stata impedita l’entrata e da lì a poco sono iniziati gli scontri tra le fazioni rivali.
La polizia, per l’esiguo numero di agenti presenti, non è più riuscita a controllare la situazione ed ha consigliato all’ex sindaco Lewites di ritirarsi per evitare che la situazione degenerasse ulteriormente.

Era nell’aria

Dopo il lancio ufficiale della sua candidatura per le prossime elezioni presidenziali del 2006, Herty Lewites aveva mantenuto un profilo basso ed era uscito dal paese per una decina di giorni.
Il Fsln aveva continuato a ripetere che Herty Lewites non avrebbe mai potuto partecipare alle elezioni primarie in quanto già inibito per non avere accumulato, come recita lo Statuto del partito, dieci anni consecutivi di militanza (nel 1996 si era staccato dal Fsln ed aveva fondato un proprio movimento).
Durante l’anniversario della morte di Sandino, Daniel Ortega aveva alzato il tono dello scontro dicendo che Lewites era manipolato dall’oligarchia locale e dagli Stati Uniti per dividere il voto sandinista e lo aveva sfidato a proclamarsi antimperialista, perchè non era possibile che un militante sandinista avesse sempre e solo parole positive per gli Stati Uniti, per le sue politiche e per il capitale locale.
Lo Statuto del Frente Sandinista dice chiaramente che il partito è antimperialista e quindi Ortega aveva chiesto a Lewites che si esprimesse su questo punto e che, una volta tanto, attaccasse chiaramente le politiche neoliberiste degli Stati Uniti e del governo nicaraguense.
La risposta di Lewites non si è fatta attendere ed ha preso le distanze dalle dichiarazione di Ortega dicendo, in sintesi, che non si può generalizzare e che lui avrebbe sempre mantenuto una posizione non confrontativa. Un suo governo avrebbe sempre cercato alleanza e buoni rapporti con tutti, Stati Uniti compresi.
Quello che comunque è sembrato solo un pretesto per finirla una volta per tutte con questa diatriba della candidatura di Lewites, ha portato all’epilogo di sabato scorso, preceduto nei giorni precedenti da varie lettere pubbliche inviate da Rosario Murillo che attaccavano molto duramente l’ex sindaco di Managua e da un’indagine che la Contraloria de la Republica inizierà per presunti atti illeciti durante l’amministrazione comunale di Lewites.

La risoluzione finale

Nella risoluzione finale letta da Miguel D’Escoto, l’Asamblea Sandinista afferma testualmente che "Herty Lewites e Victor Hugo Tinoco hanno rinnegato e rinunciato pubblicamente ai Principi del Frente Sandinista, quali sono i Postulati popolari e antimperialisti. Hanno attentato e stanno attentando contro l’unità sandinista e contro la speranza del popolo impoverito del Nicaragua. Cercano di togliere a questo popolo la vittoria raggiunta dal Fsln e la Convergencia Nacional nelle elezioni municipali. Pretendono togliere loro il diritto a portare avanti le lotte indispensabili per una liberazione sociale e per difendere la sovranità nazionale, fino a raggiungere la vittoria della dignità e la giustizia nelle elezioni del 2006.
Separandosi dal Fsln e rompendo i postulati, costituendosi in agenti dell’impero e dell’oligarchia, pretendendo dividere e indebolire il Frente Sandinista, loro stessi si SONO AUTO ESPULSI CON DISONORE dalle gloriose fila del Frente Sandinista".

Herty Lewites, che come detto ha dovuto ritirarsi velocemente per timore alla propria incolumità, ha poi dichiarato che "dipenderà dal Segretario del Fsln, Daniel Ortega, se ci sarà pace o guerra e se dovrà scorrere sangue sandinista. Continuerò a mobilitare la mia base fino a che non accetteranno la mia partecipazione alle elezioni primarie, anche se questo dovesse costarmi la vita. Non accettiamo più dittature. Abbiamo sopportato una dittatura per mezzo secolo e non ne accettiamo un’altra all’interno del Frente Sandinista".
Ha poi accusato l’ex vice sindaco Evertz Carcamo di aver assoldato gruppi di giovani delinquenti per attaccarlo.
La situazione è ormai degenerata e sicuramente non fa bene al sandinismo.
Una divisione e una tensione così grande è sicuramente l’ultima cosa di cui la sinistra nicaraguense ha bisogno oggi.

(Testo e foto Giorgio Trucchi)


A un passo dall’arrivo...o dall’inizio

Sono a dieci chilometri da Managua e il 2 marzo entreranno nella capitale e s’istalleranno davanti alla Asamblea Nacional fino a che governo e deputati non diano loro risposte concrete alle loro richieste.
Sono quasi alla fine del loro viaggio, ma all’inizio di un’avventura dagli esiti incerti che hanno denominato la "Marcia senza ritorno".
Il gruppo di bananeros ammalati a causa del pesticida Nemagòn sono ormai in marcia da nove giorni e se ne vedono chiaramente i segni.
Mal nutriti, in parte disidratati, piedi pieni di vesciche, alla disperata ricerca di ombra sotto la quale stendere le proprie amache.
Sono molti di più, circa 2 mila. Il grosso arriverà tra oggi e domani, prima dell’entrata a Managua e alla fine il numero dovrebbe stabilizzarsi sui 7 mila, più qualche migliaio che farà avanti e indietro perché non è nelle condizioni di resistere in un accampamento improvvisato e per un tempo indefinito.
Non manca però il buon umore. Nonostante la stanchezza sono sempre pronti a parlare, a comunicare, a offrirti qualcosa di quel poco o niente che hanno. Ridono e scherzano anche sulle condizioni dei loro piedi. Un misto di disperazione, tenacia e senso dell’autoironia che lascia sempre sconcertato chi giunge per parlare con loro.
Uno dei leader delle varie organizzazioni, che si sono sommate a questa ennesima tappa della lotta per un giusto indennizzo per i danni subiti e per costringere governo e deputati a concedergli quello che gli spetta, sta dormendo profondamente sull’amaca.

Lo sveglio e da parte sua c’è l’immediata disponibilità a parlare.
Ormai tra la gente è fin troppo chiaro che la pressione che verrà dall’estero è fondamentale, è un’arma in più che alza il loro potere di negoziazione.
"Sta arrivando sempre più gente e oggi ne dovrebbero arrivare circa mille. C’è un buon clima, la gente è attiva e con voglia di portare questa lotta fino alle ultime conseguenze.
Per il momento è andato tutto bene e non ci sono stati grossi problemi. Molta stanchezza ma, al contrario dell’anno scorso dove in molti sono dovuti tornare a casa perché non ce la facevano, svenivano o addirittura abbiamo dovuto ricoverarli in ospedale, quest’anno abbiamo diluito maggiormente le tappe ed abbiamo evitato le camminate sotto il sole e quindi stiamo tutti abbastanza bene a parte gli ovvi problemi ai piedi, allo stomaco per la scarsa alimentazione e la scarsità di liquidi.
Abbiamo invece ricevuto la dolorosa notizia che durante questi nove giorni di marcia sono morte altre tre persone che non erano venute perché stavano molto male.
Con questi tre morti, il numero di questo massacro di cui le multinazionali sono responsabili sale a 841 e sappiamo che un altro compagno di La Paz Centro è in fin di vita.

Stiamo ormai marciando a una media di 100 morti all’anno e la percentuale non può che aumentare perché queste malattie non si fermano e nessuno ha i mezzi economici per curarsi.
Il 2 entriamo a Managua. Passeremo dalla Procura per la difesa dei diritti umani e chiederemo, insieme ad altri gruppi della società civile, di formare un’alleanza che ci appoggi per tutto il tempo che resteremo nella capitale.
Il Centro Nicaraguense de Derechos Humanos (Cenidh) ha già predisposto la realizzazione di cinque corsi per i bananeros sui diritti umani affinché siano sempre più coscienti dei loro diritti che costantemente vengono violati.
Alla Procura abbiamo già presentato le denunce contro il Presidente della Repubblica, la Asamblea Nacional e la Commissione Interistituzionale che si era formato a seguito degli accordi dello scorso anno.
Già non c’interessano discorsi e firme, vogliamo i fatti perché, per molti, il tempo sta finendo".

La storia di Maria de los Angeles

Maria de los Angeles Hernandez l’ho vista tante volte durante le marce dei bananeros.

L’ultima volta era a Chinandega durante la protesta contro le multinazionali perché non volevano riconoscere che le donne si erano ammalate per il contatto continuo con il Nemagòn. Secondo "i padroni delle banane" non potevano essere malate perché non avevano lavorato direttamente nei campi, ma nel lavaggio delle banane.
Non tenevano conto che le banane arrivavano al lavaggio inzuppate di pesticida e che le donne si bagnavano costantemente con acqua inquinata.
Aveva partecipato anche alla marcia dello scorso anno, insieme al marito Pedro Lezama di 65 anni ed erano dovuti tornare a Chinandega perché stavano molto male, soprattutto lui.
La ritrovo oggi stesa sulla sua amaca insieme ad un altro gruppo di donne.
Tutte intorno al fuoco su cui è posta una pentola a bollire.
"Stiamo facendo una sopa. E’ appena passata un’amica che mi ha regalato un osso e con questo ci facciamo una sopa de res".
Hanno tutti visi stanchi, ma determinati.
Maria de los Angeles è sola, suo marito è morto sette mesi fa.
Ha comunque deciso di partecipare alla marcia anche per lui. Tira fuori una foto e me la mostra.
La ritrae vicino alla bara del marito. La porta sempre con sé e la farà vedere come testimonianza di quello che hanno fatto il Nemagòn e le multinazionali che gliel’hanno fatto usare.

Le donne vicino a lei le si stringono vicino e ascoltano.

"Pedro ha lavorato nelle bananeras da quando aveva quindici anni e ci è rimasto per trent’anni. Ha fatto di tutto. Nel 1985 ha abbandonato il lavoro perché era molto malato. Aveva il corpo coperto di macchie, anche nella parte genitale, non vedeva quasi più ed aveva perso i capelli.
Aveva continui giramenti di testa e alla fine faceva fatica anche a camminare.
Durante l’ultima marcia siamo dovuti tornare a casa perché ha cominciato a non trattenere più l’urina e si vergognava del fatto che si bagnava costantemente e noi non avevamo cambi sufficienti.
E’ morto lentamente, giorno dopo giorno.
Io ho lavorato per otto anni e sono ammalata. Non me la sento di dirti che malattia ho perché mi vergogno e perché c’è altra gente che ascolta, ma - indicandomi la parte genitale - sono cose gravi.
Non abbiamo mai avuto nessun aiuto da parte del governo e ancora meno da parte delle multinazionali. Al contrario adesso ho dovuto fare dei debiti per poter fare il funerale a mio marito e non so come pagarlo. La nostra associazione mi ha aiutato per fare la veglia funebre con il pane e il caffè da dare ai partecipanti, ma per il resto ho dovuto pensarci da sola.

L’unica cosa che riesco a fare è vendere pomodori e con questo mi mantengo.
La situazione è difficile, ma dopo tanti anni di lotta, di marce, di proteste è venuto il momento di esigere quello che ci spetta.
Io non so perché questa gente ha il cuore così duro. Perché non vogliono vedere i sacrifici che stiamo facendo e quello che stiamo soffrendo? Perché, se abbiamo ragione? Non è morto solo mio marito, ma centinaia di persone e siamo disposti a rimanere in qualsiasi condizioni, sotto il sole, soffrendo la fame fino a che non ci daranno una risposta concreta.
Guarda come sono conciati i miei piedi. Abbiamo patito il sole e la sete perché non sempre abbiamo trovato acqua, i piedi sono pieni di vesciche, non sappiamo dove andare a fare i nostri bisogni ed è imbarazzante inoltrarsi nei campi per nascondersi e fare le nostre cose.
Abbiamo mangiato poco e i pochi soldi che avevamo sono già finiti. Per fortuna sono arrivate persone di buon cuore che ci hanno portato un po’ da mangiare.
Sono grossi sacrifici, ma dobbiamo andare avanti fino alla fine, non ci pieghiamo, andiamo avanti con o senza mangiare perché abbiamo fede e fiducia in questo popolo che sempre ci ha aiutato".

Intorno a Maria de los Angeles si stringe il gruppo di donne. Maria Amparo Mèndez racconta anche la sua storia e quella di suo marito, lavoratore delle bananeras per vent’anni e morto nel 2001 dopo essere praticamente rimasto in sedie a rotelle.
Anche lei mi fa vedere la foto e alla discussione si aggiungono le altre donne, tutte malate, tutte con storie agghiaccianti, ma reali. Tutte vittime del Nemagòn e di quelle multinazionali che hanno inquinato l’intero Centroamerica pagando i propri lavoratori due dollari al giorno .
Alla fine mi invitano a restare a pranzare con loro, a condividere il poco che hanno come è normale nella cultura campesina, tra la gente povera, dove se si mangia in cinque si può mangiare anche in sei, cultura così lontana dai luccichii e dai centri commerciali di Managua.
Mi allontano con la promessa di rivederci all’entrata a Managua e spiego loro a che cosa serviranno queste interviste, queste foto.
Dare, per quello che si può, voce a chi non l’ha. Unire volti alle parole scritte, alle storie.
Rompere l’abitudine a sentire parlare di migliaia di morti come se si parlasse di noccioline e non di persone, ognuna con la propria vita, i propri problemi, la propria vita e famiglia.
Inchiodare multinazionali, governi, deputati alle proprie responsabilità.
Far sentire che non sono soli e sole e sembra che questo l’abbiano ben capito.

(Testo e foto Giorgio Trucchi)