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Parigi, la banlieu che resiste al fanatismo

Publie le martedì 19 luglio 2005 par Open-Publishing

Dazibao Religioni Francia

Ad Aubervilliers vivono faccia a faccia una maggioranza musulmana e una comunità ebraica radicale. Gli operatori sociali contrastano l’estremismo con «micro-azioni che si possono misurare nel tempo». Ma sulla convivenza incombe l’incubo Sarkozy, che minaccia di ripulire la banlieu

di ANNA MARIA MERLO PARIGI

Aubervilliers è una cittadina di 63mila abitanti, alla periferia nord di Parigi, collegata alla capitale da una linea della metropolitana, situata tra Pantin e La Courneuve, che il populista ministro degli interni Nicolas Sarkozy ha minacciato pochi giorni fa - in seguito alla morte di un ragazzino, ucciso da un colpo d’arma da fuoco - di «ripulire al Karcher» (dal nome di una marca di uno strumento ad alta pressione). Aubervilliers, come tutte le periferie popolari della capitale, non è un posto facile. Sulla carta, condensa tutti i problemi: forte percentuale di classi popolari oggi colpite dalla disoccupazione, un faccia a faccia tra due comunità radicali ebree e una maggioranza della popolazione di cultura musulmana.

Eppure, a Aubervilliers, anche se non sono mancati episodi di esplosione di violenza tra i giovani, si ha l’impressione che non tutto sia ancora andato perso, che l’Europa non sia sull’orlo di trasformarsi nella Bosnia, di scivolare verso una guerra civile tra comunità. È l’effetto di quelle che l’animatore Nour-eddien Skiker chiama «le micro-azioni che si possono misurare nel tempo». È quello che lui e i suoi colleghi fanno all’Omja, la sede dei giovani di Aubervillers, che organizza il tempo libero. È la conseguenza positiva di un’azione volontarista del comune (il sindaco è Pascal Baudet, del Pcf, di professione maestro), che non ha abbassato le braccia. È la volontà di dare a questi giovani, con l’attività extra-scolastica, «il controllo della parola - come riassume Nour-eddien - Ma lo sa che nelle banlieues i giovani controllano meno la lingua degli altri? Che secondo uno studio usano una media di 400 parole contro le 2500 di Parigi?

E quando non si hanno le parole, si diventa pazzi, si pensa solo a se stessi, ci si rinchiude, e questo è quello che può capitare di peggio, sempre più gente che pensa solo a se stessa, che se ne frega degli altri. Poi la religione diventa un pretesto».«Abbiamo saputo degli attentati di Londra in Alsazia, all’uscita dal Museo della deportazione, dove eravamo andati per visitare un campo», spiega Louis Philippe, un liceale. Sarebbe possibile che un giovane francese si trasformasse in kamikaze, come in Gran Bretagna? «Tutto è possibile, ma è difficile qui. A Aubervilliers è impossibile. Qui non siamo come in Gran Bretagna, la Francia non ha partecipato alla guerra in Iraq» spiega Jassin, un altro liceale.

L’Iraq, ma anche la Palestina, sono i nodi della tragedia della geopolitica che vengono spesso citati. «Quando c’è stata la prima intifada, abbiamo organizzato un incontro con tutti i punti di vista al liceo, è andato bene» dice Nour-eddien Skiker. E dal `98, il comune realizza un «progetto Palestina» in collaborazione con i palestinesi, a cui partecipano gli abitanti. «C’è un vero malessere internazionale - aggiunge Nour-eddien - che noi lavoratori sociali nei quartieri percepiamo bene nei suoi effetti. Ma ogni volta che c’è un problema, cerchiamo di lavorarci sù per vivere meglio dopo. Non per bluffare la gente, dire loro che troveremo la soluzione, perché non sarebbe onesto dire che il problema non ci sarà più.

Ma per capirne le cause, se no non si va avanti». Nour-eddien ha detto ai ragazzi che ha accompagnato nella visita al campo di concentramento in Alsazia: «Se avete provato solidarietà qui, sappiate che deve cominciare alla porta del vostro condominio». Ma a un ragazzo qualcuno aveva chiesto : «Ma lei che viene dall’Algeria, si sente legato al problema franco-francese dell’Alsazia? E il ragazzo di Aubevillier ha risposto : «Ma scusi, io sono francese». Un altro ragazzo gli ha rimproverato i due minuti di silenzio per Londra: «Perché non lo facciamo per l’Iraq?». «Io ho la famiglia a Londra, ma per fortuna non ci sono state vittime - racconta Louis Philippe - ma abbiamo visto in tv che laggiù i musulmani non osano più uscire di casa, per vergogna o perché sono insultati».

«Ma qui non è così» interviene Jassin. «Abbiamo visto che le loro famiglie non li consideravano dei violenti. Forse hanno fatto un viaggio in un paese dove ci sono i terroristi, si sono fatti intrappolare in questo meccanismo» secondo Cherene, un altro liceale. «Parte sempre di là, dall’origine - riflette Louis-Philippe - può venire da gente che viene dal Pakistan, che va a Londra e qui avviene come uno scatto». A Aubervilliers questo «scatto» sembra escluso. «Qui non c’è nessun problema con le altre religioni» afferma Cherene. Ma le cose potrebbero cambiare?

L’inquietudine serpeggia tra i giovani, dopo la sequenza di affermazioni «muscolari» e populiste del ministro degli interni con ambizioni presidenziali, Nicolas Sarkozy. Non solo «ripulire» i quartieri difficili al Karcher, ma anche espellere gli imam radicali. «Il problema è che dopo bin Laden si parla dell’islam come terrorismo» dice Louis Philippe. Sarkozy si vanta di «parlare come il popolo» e ammicca all’estrema destra, giocando la carta periolosa dell’antiparlamentarismo e, cosa paradossale visto che è capo dell’Ump, dell’antipartitismo. Sarkozy «ha preso di mira tutti i musulmani, non solo gli imam radicali» riflette Jassin.

Con Sarkozy presidente nel 2007, il modello di Aubervilliers, quello delle «micro-azioni che si possono misurare nel tempo» per cui lavora Nour-eddien, sarà trascurato, non sarà più finanziato? Dei segni di chiusura dei rispettivi gruppi di appartenenza sono già ben presenti nella Francia di oggi. Il dialogo di Aubervilliers, la cittadina che ha accolto, per esempio, il «museo precario» voluto nell’inverno scorso dall’artista Thomas Hirshhorn, contrasta con la chiusura che si può vedere in alcune moschee: alla rue Myhra, per esempio, a Parigi, venerdì la strada era bloccata con delle transenne, i tappeti per la preghiera occupavano anche le strade adiacenti, un mondo senza donne venuto dal passato e che perpetua valori pre-moderni volta le spalle alla diversità della città.

«Avete parlato degli attentati di Londra e del fatto che i kamikaze fossero cittadini inglesi?»: una domanda a cui nessuno vuole rispondere, voltando le spalle a chi la pone, guardata come un’intrusa. Una ghettizzazione che la politica di Sarkozy non farà che favorire, carezzando gli opposti populismi, dell’estrema destra franco-francese che ha paura del diverso e quella radicale islamica che rifiuta i valori occidentali.Sarkozy contrabbanda per svecchiamento della Francia un sistema a compartimenti stagno, in un periodo in cui la polemica sui «modelli sociali» contrastanti - quello britannico e olandese che ha favorito il «comunitarismo» contro quello francese dell’integrazione repubblicana - è ormai sfumata.

Nessuno è più sicuro di avere trovato la risposta. I due «modelli» sono in crisi, mostrano delle falle. Come in Gran Bretagna il comunitarismo è messo in discussione, così in Francia le spinte alla chiusura di ogni comunità in se stessa sono presenti: i due «modelli» un tempo opposti tendono nei fatti a convergere, per mettere al centro la «questione sociale». Anche se, come sostiene Gilles Kepel, «è eccessivo pretendere, come fanno gli islamisti, che nell’Eureopa del XXI secolo le classi sfavorite sono musulmane, è vero che coloro che appartengono a popolazioni immigrate di origine musulmana fanno parte nella grande maggioranza dei gruppi più poveri. La mobilità sociale ascendente si scontra con molteplici ostacoli, che non si riducono alla xenofobia o al razzismo (meno ancora all’islamofobia), ma dove queste attitudini discriminatorie hanno la loro parte».

Il problema è che «non esistono più, nello spazio politico europeo, partiti o organizzazioni ai quali possano identificarsi coloro che si ritengono ingiustamente mal piazzati nella gerarchia sociale. L’estrema desta riesce, a volte, da Vienna ad Amsterdam, da Roma a Parigi, a captare questo voto di scontento, ma si costruisce su un riflesso xenofobo e non riguarda, per l’essenziale, che la popolazione sfavorita europea indigena, a detrimento di coloro che sono di origine immigrata». Per non preparare il terreno agli estremismi, per lo studioso Kepel «non c’è altra strada che quella di lavorare per la piena partecipazione democratica della gioventù di origine musulmana alla vita cittadina, attraverso gli strumenti, in particolare educativi e culturali, che favoriscono l’ascensione sociale». È quello che fanno Nour-eddien Skiker e i suoi colleghi a Aubervillers. Per evitare che la sola rivolta possibile sia l’alternativa tra la chiusura nel fanatismo religioso o bruciare la macchine posteggiate, come è successo nella notte tra il 13 e il 14 luglio, per festeggiare la festa nazionale: più di 200 auto bruciate nella banlieue parigina, «una cifra stabile da tre o quattro anni» secondo la polizia.

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