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Parigi : la rivolta della ’’banlieue’’
Publie le sabato 5 novembre 2005 par Open-Publishing3 commenti
Cronaca dalla periferia parigina in subbuglio da otto giorni. Dove si scoprono le varietà culturali dell’ibridazione e la dignità di coloro che si ribellano
di Rino Genovese e Federica Montevecchi, da Parigi
Sono francesi e hanno la pelle nera, ventidue anni e vivono a Bobigny. Parlano, Olivier e Henri, del loro perimetro di vita: cioè della banlieue dove l’asfalto delle grandi strade e le rotaie delle tranvie hanno eliminato il verde, che è stato però stranamente sopraelevato nel tentativo - tutto sommato decente rispetto al dissesto urbanistico prevalente nelle periferie italiane - di riprodurre un ambiente naturale, in un gioco di passaggi pedonali tra un centro commerciale e le sagome dei palazzoni.
Seduti su una panchina di uno di questi spazi semisospesi, Olivier e Henri trascorrono le loro ore diurne, perché in questo non-luogo altro non c’è a parte il supermercato e il cinema in cui, insieme ai film scadenti, si danno droga e traffici vari.
Spiegano che gli scontri notturni degli ultimi giorni hanno come obiettivo le dimissioni del ministro dell’Interno, Nicolas Sarkozy. “Je suis pour la violence”, “Sono per la violenza”, dice il più determinato dei due. Ed entrambi si diffondono sul razzismo, vissuto fin dagli anni della scuola, sulla mancanza di prospettive e di lavoro (il tasso di disoccupazione nei sobborghi parigini supera il 20 per cento), e sulla perfetta inutilità di andare a Parigi, città che non è la loro.
A Bobigny siamo arrivati con la metropolitana alle 3 del pomeriggio. Di qui prendiamo il tram che in una mezz’ora porta a St. Denis passando per La Courneuve. Tutto è tranquillo, ma la tensione è sottopelle: la si percepisce dai controlli di polizia che vediamo lungo il tragitto. La violenza riesploderà dalle 23 alle 2 di notte, puntualmente, come sta avvenendo da una settimana in una zona molto estesa, difficilmente controllabile dalle forze dell’ordine anche per la rapidità con cui avvengono gli attacchi e gli incendi di automobili. Come si sa, all’origine di tutto c’è la morte di due ragazzi rimasti fulminati in una cabina elettrica, mentre cercavano scampo dalla polizia che li inseguiva. Poi è arrivata l’ennesima provocazione di Sarkozy (ha chiamato “canaglia” i giovani casseurs), che da tempo sta tentando di accreditarsi come candidato della destra alle presidenziali del 2007, in diretta competizione con l’estrema destra di Le Pen.
Ci colpiscono sul tram i bei volti seri e i modi di vestire - per nulla arruffati, anzi non privi di una loro eleganza - delle ragazze, dei ragazzi, degli uomini e delle donne, di origine maghrebina e africana. Quando si parla di “periferie multietniche” bisogna sapere che si sta parlando, in realtà, di un’ibridazione culturale a lungo stratificata. Qui siamo alla seconda e alla terza generazione d’immigrati: nei volti, nei modi di vestire (anche in quello dell’unica signora completamente velata che vediamo) si leggono le varietà di tipi culturali che l’ibridazione comporta.
Sarebbe sbagliato immaginarsi questa gente come disperata. Al contrario, la loro dignità è ben visibile.
Tutto ciò spiega perché, accanto al conflitto a base etnica, in queste periferie serpeggi anche la rivolta sociale e politica. Lo spirito della sommossa, che rispunta organizzato ogni notte da una settimana, deriva certamente da molte motivazioni, e tra queste possono essere comprese quelle puramente delinquenziali. Ma riflettiamo un momento sull’obiettivo che viene proposto - la cacciata di Sarkozy - e sullo strumento della violenza. Oggi se qualcuno dice “sono per la violenza” non sta parlando né della presa del potere né di una forma di jacquerie, intesa come ribellione disperata e in fondo reazionaria; sta parlando, piuttosto, di un modo di comunicazione che usa la violenza spaccatutto come altri usano i mezzi di comunicazione di cui dispongono (appare significativo che sia stata aggredita anche una troupe televisiva).
Gli esclusi dalla comunicazione contemporanea si fanno sentire con una comunicazione violenta. Converrebbe ricordarcelo prima di lanciare i nostri anatemi.
http://www.aprileonline.info/articolo.asp?ID=7003&numero=’44’
Messaggi
1. > Parigi : la rivolta della ’’banlieue’’, 5 novembre 2005, 21:37
Non so chi ricordi "Parigi brucia ?" di Renè Clémént del 1966. Uno degli
ultimi film a soggetto collettivo in bianco e nero con un cast strepitoso
(Anthony Perkins, Orson Welles, Jean Paul Belmondo, Alain Delon) che con Le
Quattro giornate di Napoli e la Battaglia di Algeri completa una grande
trilogia dei film di liberazione.
Il film prende il titolo dalla frase messa in bocca ad Adolf Hitler alla fine
della pellicola: "Parigi, brucia ?" è l’inutile domanda del Fuehrer che
rieccheggia da un telefono abbandonato in fretta e furia dai nazisti
all’Oberkommando di Parigi ormai deserto.
Il film rivela quindi una sicurezza di fondo su cui si costiuisce
l’immaginario europeo per tutto il lungo dopoguerra: su Parigi ormai salvata
dalle fiamme si costruisce l’idea di Europa e il cast multinazionale è
chiamato a simboleggiare questa allegoria.
Il fatto che Parigi stia bruciando da diversi giorni, per quanto in una
maniera che sfiora solamente i flussi di interazione tipici della megalopoli,
sta comunque mettendo a crisi l’idea stessa di Europa. Come è sempre capitato
per gli eventi della capitale francese, dalla rivoluzione al maggio 68 e,
allo stesso tempo, in maniera differente, nuova e quasi inavvertita.
Le rivolte contro la polizia, e non genericamente la "violenza" come oramai
ha preso a dire anche l’inviata del Manifesto (in omaggio all’obbligo di
attribuire significato solo a chi ha la bandiera arcobaleno in mano, amen),
estesesi a partire da Clichy-sous-Bois si sono sviluppate secondo una
modalità impressionante. Infatti, ad un certo punto in molte parti di quella
zona di Parigi si sono contemporaneamente coalizzate e rivoltate contro la
polizia bande storicamente rivali tra di loro. Una rivolta estesa, e senza
accordi precedenti, contro la presenza dello stato francese sul territorio
che là si esercita con la miscela di controllo militare e di progetti del
terzo settore, proprio come avviene nel sud del mondo.
Libèration ha anche argomentato che la rivolta, proprio per queste modalità
di insorgenza differenziata e spontanea contro la polizia, può continuare. Il
dato politico, e simbolico, è però già uscito: da Parigi a Londra, dalle
rivolte contro la continua presenza militare dello stato sul territorio della
banlieue ai quartieri extraoccidentali del Londonistan, la presenza della
governamentalità europea è prevalentemente formale e fatica ad imporsi
persino con la forza.
A differenza degli antichi quartieri operai, dove il riconoscimento
socialdemocratico della statualità al massimo faceva concorrenza alla
statualismo alternativo del comunismo, su questi territori ci troviamo
all’assenza di condizioni per il riprodursi di una legittimità sostanziale
delle istituzioni: in cambio del riconoscimento della sovranità dello stato
non si possono erogare materialmente diritti di cittadinanza e non resta che
la presenza militare della governamentalità che, per quanto ne pensino i
Cofferati di ogni latitudine, provoca rivolte che infiammano ulteriormente le
periferie.
Tutte queste tematiche del resto sono notissime alla letteratura americana
che si occupa di governo delle metropoli: ad esempio il neofunzionalimo
d’oltre Atlantico, dando per scontata l’impossibilità di una società civile
nelle metropoli e dando per acquisito il fatto che l’intelletto collettivo
delle nuove tecnologie non è un fattore di coesione sociale, costituisce una
tecnologia di governo che si esercita a prescindere dall’esercitarsi o meno
di queste rivolte e dall’estendersi della frammentazione sociale.
In questo contesto il punto è che gli Stati Uniti hanno superato da tempo le
necessità costituenti, la nazione è già nata da oltre un bicentenario e
quindi lo stesso esaurirsi della spinta propulsiva della società civile può
essere tranquillamente archiviato a favore di grandi tecnologie di governo
che fanno presa su territori complessi, socialmente differenziati e in
presenza di mondi in piena secessione dalla sfera pubblica.
In Europa invece, la società civile è continuamente evocata come elemento
costituente del nuovo soggetto statuale continentale ed è doppiamente
inesistente: storicamente è ormai fenomeno esaurito dalle dinamiche di
civilizzazione dei singoli stati e socialmente non è certo il soggetto
egemone nelle periferie desertificate delle metropoli come nelle cattedrali
del consumo.
Anche per questo Parigi ci indica che l’Europa non esiste: perchè mostra la
società civile come elemento costituente del futuro soggetto statuale
continentale si è esaurito prima, nelle dinamiche storiche dei singoli stati
nazionali. E questo lo si capisce bene proprio a partire dalla Francia, che
ha elettoralmente votato contro l’Europa a primavera e socialmente e
inconsapevolmente "votato" nelle periferie parigine in questi giorni.
Certo, per molti l’analisi di questi temi può essere uno choc: cresciuti nei
perimetri dei forum europei della società civile come prima cittadina
d’Europa, di movimenti partecipativi e quant’altro fa humus neostatuale è
traumatizzante l’idea che da una parte ci sia l’alta complessita delle
tecnologie di governo (di cui la repressione fa anche parte) e dall’altra i
barbari con in mezzo il nulla, anzi lo spettacolo mediatico.
Ma, come diceva il vecchio Karl Kraus, la civiltà finisce dove finiscono i
barbari. E siccome ultimamente di barbari se ne vedevano pochi forse bisogna
salutare questi fuochi di Parigi come un’occasiome per riparametrarsi alla
critica nei nuovi livelli di complessità del potere senza formule
consolatorie.
Ogni modo, il fiancheggiamento nei confronti dei "casseurs" oltre ad un
piacere è un obbligo morale. Chi parla di movimenti maturi solo perchè non
tirano sassi non capisce nulla delle dinamiche di territorio e propone solo
una strategia di più o meno dignitoso assoggettamento. Il problema è che la
libertà è altrove e la libertà si esprime strategicamente anche con la
riduzione della potenza dello stato, con la messa in crisi del colonialismo
permanente del Leviatano (e pensare queste rivolte con il terrore dell’esito
degli anni ’70 italiani significa uno scarso esercizio di fantasia politica e
di compulsivo assoggettamento).
Parigi brucia ? Pare di si. Ma non sono le truppe del Reich ad incendiarla
quanto bande di agili incappucciati della banlieue. In questo modo l’Europa
percepisce una crisi profonda: fortunatamente non c’è più la voce gracchiante
di Hitler ad un telefono abbandonato ma c’è la rivolta dei neri, dei beurs
spontaneamente coordinata nella notte da appositi segnali sul cellulare.
Hitler si sarebbe collassato a vedere il fenomeno e Chirac lo sta facendo.
Nique la police e che l’odio sia con noi.
1. > Parigi : la rivolta della ’’banlieue’’, 9 novembre 2005, 18:08
Certo bisogna farne di strada/da una ginnastica d’obbedienza/fino ad un gesto molto più umano/che ti dia il senso della violenza/però bisogna farne altrettanta/per diventare così coglioni/da non riuscire più a capire/che non ci sono poteri buoni.
(Fabrizio De André, Nella mia ora di libertà, 1973)
E il grande Faber parlava proprio di Francia ....
p.s. Di anni ne ho 51, per cui non e’ detto che sei necessariamente "un fratello piu’ grande"...
2. > Parigi : la rivolta della ’’banlieue’’, 6 novembre 2005, 13:13
Oltre mille auto distrutte e oltre trecento persone fermate
Lanciata una bottiglia incendiaria a Place de la Republique
Francia, la rivolta si estende,
molotov nel centro di Parigi
PARIGI - Quasi 1.300 automobili distrutte (554 fuori dalla regione parigina) e 312 persone fermate: queste le cifre della decima notte di violenze nei sobborghi parigini e in provincia. Si tratta del bilancio più consistente dall’inizio degli scontri, anche se le cifre della direzione generale della polizia nazionale restano ancora provvisorie. La rivolta si è ormai estesa ad altre città della Francia e, per la prima volta, ha colpito nel centro della capitale: a Place de la Republique è stata gettata una bottiglia molotov contro alcune automobili, quattro vetture hanno preso fuoco. Incendi di automobili e cassonetti in varie città, da Nantes a Rennes a Rouen, e anche a Lione e a Tolosa: qui, alle 23 di sabato, i vigili del fuoco avevano già risposto a una trentina di chiamate per roghi.
A sudest di Parigi due scuole sono state date alle fiamme così come una quindicina di automobili e una ditta di riciclaggio della carta, mentre nella periferia nord della capitale, a Noisy-le-Grand, è stato incendiato un liceo.
A Corbeil-Essonnes, nell’area a sud di Parigi, un’auto è stata usata come ariete per sfondare l’ingresso di un ristorante della catena McDonald: gli occupanti della vettura hanno poi incendiato il locale, provocando il crollo del soffitto. A Drancy invece, nella banlieue nord di Parigi, due ragazzi di 14 e 15 anni che tentavano di incendiare un camion sono stati bloccati dagli abitanti del quartiere e consegnati alla polizia.
Il ministro francese dell’Interno Nicolas Sarkozy si è riunito ieri sera con i responsabili delle forze dell’ordine per rafforzare il dispositivo di sicurezza. E al termine dell’incontro, ha ribadito chetutto il governo è unito intorno alla slogan "Fermezza e giustizia".
(6 novembre 2005) www.repubblica.it