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Riscopriamo il Che sconosciuto

Publie le venerdì 30 settembre 2005 par Open-Publishing

Dazibao America Latina Storia

di Antonio Moscato

La polemica sugli inediti di Guevara, che continua su molti giornali, non ha aiutato finora a capire il problema essenziale, che non è chi deve percepire i diritti sui suoi scritti ma i criteri usati finora per ritardare la pubblicazione di quelli più interessanti. Quelli che rivelano una critica severa dell’Urss come "non socialista" e una profonda riflessione sulla riproduzione del modello sovietico a Cuba, che non furono rese pubbliche allora "per disciplina".

Molti inediti sono trascrizioni di brevi discorsi, e di interventi al ministero dell’Industria, preziosi per seguire la sua evoluzione. La maggior parte di questi sono stampati nel volume VI dell’opera El Che en la Revolución cubana, curata da Orlando Borrego mentre il Che era in vita, ma si trovava in Congo (in realtà la vide - ricorda Borrego - durante il suo passaggio "clandestino" a Cuba nel 1966). Un’opera in sette grandi volumi, tirati in poche centinaia di esemplari fuori commercio (secondo alcuni 200, forse un po’ di più) riservati ai dirigenti e preclusi agli altri cittadini cubani.

Non si tratta dunque di manoscritti sepolti in polverosi archivi in cui sarebbe stato difficile cercarli, ma volumi stampati in un’edizione rimasta per quaranta anni inaccessibile ai cittadini comuni e ai quadri intermedi del partito (un’altra conferma della riproduzione di alcuni meccanismi tipici dell’Urss già nella Cuba del 1966-1967, e non ancora eliminati). Un’opera tanto protetta da occhi indiscreti, che una copia donata da Aurelio Alonso alla Biblioteca centrale di cui era direttore, e collocata naturalmente nei fondi non accessibili a tutti, era sparita appena un anno dopo quando era andato per consultarla.

Anche Hildita, la figlia maggiore, e il padre del Che non sono mai riusciti ad averla. Ma c’è altro. Il Che aveva anche preparato per la pubblicazione due testi dattiloscritti: il bilancio sulla sua esperienza nel Congo e le critiche al Manuale di Economia politica dell’Accademia delle Scienze dell’Urss. Il primo ha aspettato decenni, in cui si sono fatti errori politici gravi appoggiando regimi africani spacciati per "socialisti" anche per aver ignorato le riflessioni di Guevara sui dirigenti dei movimenti di liberazione che aveva conosciuto. È uscito, incompleto, in molti paesi tra cui l’Italia - ma non a Cuba - solo nel 1994 grazie all’intraprendenza di Paco Ignacio Taibo II, e a Cuba solo molti anni dopo. Dato che alla fine è stato possibile leggerlo, è anche possibile capire le ragioni di una così prolungata censura.

Le Critiche al Manuale di Economia politica dell’Accademia delle Scienze dell’Urss aspettano ancora di essere pubblicate. Perché? Cercheremo di scoprirlo leggendone alcuni passi importanti.

Gli scritti inediti (a parte alcuni diari e appunti di lettura) sono tutti del periodo 1962-1966: anni di grande maturazione per la "crisi dei missili" (ben nota) e la "crisi delle Ori" (meno nota). Alcune tracce sono riscontrabili anche in scritti editi, alcuni dei quali abbastanza facili da reperire ma ugualmente ignorati dai "bigotti" che coltivano il mito di un Castro infallibile più del papa e rifiutano di analizzare storicamente le diverse fasi della politica di Cuba, giustificando in ogni momento ogni atto del suo gruppo dirigente. Costoro, di cui ho verificato la faziosità appena un anno fa, quando interruppero con schiamazzi una discussione su Cuba alla Biblioteca Feltrinelli di Roma, rifiutano di ammettere che anche il pensiero di Guevara abbia conosciuto un’evoluzione arrivando a parlare perfino, nel Seminario afroasiatico di Algeri (febbraio 1965) di complicità dei "paesi socialisti" con l’imperialismo.

Ma è soprattutto a Cuba che non è facile leggere gli scritti di quegli anni. Quando ho trascorso per diversi anni molti mesi a Cuba per attività di solidarietà, ho scoperto che nelle biblioteche periferiche non erano consultabili collezioni del Granma tranne che per gli ultimi tre anni. Impossibile consultare riviste e quotidiani della seconda metà degli anni Sessanta, i più vivaci e interessanti, tranne che nella Biblioteca centrale José Martí all’Avana.

Il problema dunque non sono solo gli inediti, che presenteremo nei prossimi giorni con una serie di articoli - ma che in gran parte, se hanno un enorme interesse per chi vuole studiare le diverse fasi del pensiero di Guevara, non sono certo di facile decifrazione per il lettore profano se pubblicati in blocco (ci vorrebbero note esplicative per i molti riferimenti allusivi, introduzioni, ecc.) - quanto i criteri di studio sistematico di tutti i suoi scritti, non subordinati a scelte arbitrarie di chicchessia (le edizioni Mondadori di Berlusconi o una commissione di censori cubani...).

Ho sempre polemizzato con chi astrattamente rimproverava a Castro il legame con l’Urss: creava parecchi problemi, ma era inevitabile. A chi altro poteva rivolgersi Cuba dopo il brusco taglio da parte degli Stati Uniti degli acquisti di zucchero e delle forniture di petrolio e dei tanti generi che un paese semicoloniale deve importare dall’estero? Il problema è che dal 1971 (dopo il fallimento della "Grande zafra" dei dieci milioni di tonnellate di zucchero, che pure voleva ridurre proprio la dipendenza dall’Urss) fino al 1986 il prezzo pagato è stata un’assimilazione ideologica, non totale ma pesantissima.

Non solo Guevara rimane in quel quindicennio come pura icona del "guerrigliero eroico", ma vengono chiuse riviste come Pensamiento crítico e bloccata la pubblicazione di una prima antologia di scritti dello stesso Gramsci. I quadri "ideologici" sovietici vegliavano sull’ortodossia. Certo, Fidel Castro ha avuto il grande merito, con la rectificación del 1986, di sganciarsi dall’Urss di Gorbaciov che precipitava verso il capitalismo. Lo ha fatto con metodi discutibili (divieto di circolazione alle riviste sovietiche in spagnolo, che durante la perestrojka erano diventate ricercatissime dai cubani) ma grazie a questo sganciamento Cuba non è stata travolta dal "crollo" come altri paesi. In quegli anni c’è stata la "riscoperta" di Guevara, poi tutto è stato bloccato.

Criticare questo significa convergere con l’imperialismo, come insinuano i "giustificazionismi" acritici e dogmatici e anche la stessa propaganda spicciola di Cuba, che ha attaccato perfino Galeano o Saramago, per aver osato mettere in dubbio la giustezza della repressione? No. L’imperialismo ha fatto sparire la copia del libro di Debray, Revolución en la revolución, che Guevara aveva annotato durante la lotta in Bolivia, per evitare che altri rivoluzionari potessero beneficiare delle osservazioni critiche su quel libro che tanti danni ha fatto con la sua interpretazione astratta e intellettualistica della rivoluzione cubana.

Nessun altro deve bloccare l’accesso agli scritti del Che. Ne abbiamo bisogno non per santificarlo (sono altri che lo fanno, sottraendolo alla storia) ma per leggerlo come Guevara consigliava di fare con Lenin, con cui pure aveva un disaccordo sulla Nep (a mio parere dovuto a insufficiente conoscenza dei dibattiti di quegli anni): leggerlo tutto, fino all’ultima riga, dal 1917 in poi, per capire l’esperienza fondamentale della storia del movimento operaio. Leggerlo, senza necessariamente accettare ogni sua conclusione, diceva il Che. Dobbiamo poter fare lo stesso con la sua opera.

Continua

http://www.liberazione.it/giornale/050928/LB12D6DD.asp