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Se il Molleggiato e’ rock come Nikita

Publie le domenica 30 ottobre 2005 par Open-Publishing
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Dazibao Televisione

di PIERO VIVARELLI

Latrati sinistri si sono levati da destra, per tutta la settimana, contro RockPolitik. Ad abbaiare di più sono stati, secondo me, in due: il primo è un ministro ancora più incapace alla direzione del suo dicastero del collega che lo aveva preceduto, elaborando quella legge Gasparri scritta ad uso esclusivo del nostro purtroppo presidente del consiglio.

Lo stesso ministro che si era addirittura scagliato contro la fiction sul grande Torino accusandola di trasudare comunismo, forse dimentico (o forse proprio per questo) che era prodotta dalla moglie di un collega del suo partito. Costui ha addirittura dichiarato che RockPolitik è una «ciofeca» (termine dispregiativo tipicamente romano).

Ne viene di conseguenza che gli 11 milioni, con punte di 15, che lo hanno ammirato sono degli estimatori di «ciofeche». Speriamo che di «ciofeca in ciofeca» questi disprezzabili individui si facciano sentire alle prossime elezioni.

Il secondo abbaiatore è stato l’incredibile direttore di Raiuno che, dopo essersi autosospeso (ma poi lo ha fatto?) è giunto ad accusare Celentano di violazione di contratto perché ha inserito la politica in uno spettacolo di intrattenimento.

Questo signore ignora, nonostante il suo ruolo e il suo stipendio, che la satira è spettacolo e che uno spettacolo, dagli antichi greci in poi - ma forse lui non li ha mai letti - può tranquillamente essere satirico.

Ma se la satira non è rivolta contro coloro che hanno il potere qualcuno dovrebbe spiegarmi che razza di satira è. Tralascio tutti gli altri.

In questo abbaiare continuo, tutti, dicendo che Celentano si occupa di politica solo da cinque anni, si sono dimenticati che Adriano il suo primo rockpolitik lo ha cantato addirittura nel 1960. Almeno così mi pare e, comunque, nel film Urlatori alla sbarra, diretto dal grande Lucio Fulci e da me sceneggiato.

Lo so ben io che mi vanto di aver fatto parte, fino a pochi anni fa’, della «Adriano story» e lo so anche perché in quell’occasione fui io a scrivere il testo di quel brano che addirittura trattava la politik internazionale. Titolo: Nikita rock. Il testo cominciava così: con il kolbac e i calzoni alla mugik/ arriva Nikita da lontan pilotando uno Sputnik. Non sarà chic, ma ti fa venir lo shock/ quando senza dire manco niet mette in orbita un Lunik. E terminava: mio caro Ike, se vuoi evitare guaik/ dai retta a me non fare lo scioc e a Nikita insegna un rock.

Qualcuno ci accusò di qualunquismo e imbecillità (allora la categoria del demenziale non era stata ancora scoperta), ma non si dimentichi che eravamo in piena guerra fredda e che consigliare la pace attraverso il rock era eversivo sia per una parte sia per l’altra e a ogni modo, quindi, niente affatto demenziale. Qualcuno se ne accorse, una trentina e forse più di anni dopo e arrivò a dire che, in un certo senso, Celentano aveva prefigurato la perestrojika.

Si tratta di Tatti Sanguineti che, quando ancora lavorava con Piero Chiambretti, lo convinse addirittura a mettere Nikita rock come sigla del programma sui paesi dell’ Europa dell’est che il bravo conduttore-comico (anche lui secondo me è rock) realizzò per la Rai. Altri hanno già parlato della bellissima seconda puntata e dello straordinario Benigni. Voglio solo aggiungere che il papa non è hard rock come ha detto Adriano, ma lento, lento, lentissimo.

Pare però che un gruppo di papa-boys cretini abbia minacciato di querela Adriano per le precedenti incertezze su herr Ratzinger. Chissa? Il risultato della seconda puntata è stato straordinario, addirittura meglio della prima, con 12 milioni e mezzo di spettatori di media (senza contare le punte per Benigni) e, addirittura quasi il 50 per cento di share. Alla faccia dell’incompetente ministro ciofecaro.

Il successo ha trascinato anche la trasmissione successiva, ovvero la sempre più intellettualmente pornografica Porta a porta dov’erano presenti l’immancabile Landolfi, il livido signor Vito, che non voleva far parlare chi non la pensava come lui. I due sono riusciti a sostenere che esiste una satira buona e una cattiva.

A questo punto ho spento la tv perché non si trattava più di comicità, ma di cattivo gusto. Parlano sempre di satira a senso unico, quasi che i comici di sinistra sopraffacessero i colleghi di destra. Ma da chi è esercitata la satira di destra?

Forse solo dal grande faccendiere che le spara grosse e difende con le unghie e coi denti i personali interessi suoi e dei suoi amici. Ma anche lui non fa ridere nessuno.

Come quando, sempre con la complicità del conduttore pornografo, emette nuove liste di proscrizione. Qui, invece, fa proprio sorridere.

Tanto oramai di lui non ha più paura nessuno anche perché ad aprile dovrà sicuramente fare le valigie.

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Messaggi

  • ADRIANO STORY
    Ecco perché non andò mai in America
    PIERO VIVARELLI

    Par condicio, par condicio! Lo ripeto due volte perché è un termine che fa schiattare di rabbia il grande faccendiere e quindi speriamo bene. Eccomi dunque alla ricerca di bischerate (mi si passi il termine, sono senese) dette da sinistra per criticare RockPolitik. Parlo di bischerate perché l’unica che sono riuscito a trovare è davvero niente rispetto ai latrati che si sono levati e continuano a levarsi da destra. Secondo qualcuno le bischerate sarebbero due. Il Corriere della Sera ha voluto coinvolgere Gianni Minà che si sarebbe risentito per la canzoncina gradevolissima di Maurizio Crozza su Che-lentano che deve andare all’Avana anche se comunista solo da una settimana. Minà, da par suo, con un articolo esemplare ha già espresso la sua opinione su Celentano proprio su questo giornale l’altro giorno. Evidentemente c’è il tentativo patetico di coinvolgere qualcuno di sinistra contro il Molleggiato; sono sicuro che le parole di Minà siano state, come minimo, manipolate perché è una persona intelligente e spiritosa e non può aver preso troppo sul serio la canzoncina di Crozza.

    A proposito di Cuba, però, vorrei dire la mia: è l’unico paese al mondo dove il dissenso è spesso addirittura finanziato dallo stato. Si veda il caso del film Guantanamera, prodotto dall’Icaic, feroce quanto satirico attacco all’ottusità di una burocrazia che c’era, c’è e forse continuerà a esserci. Per non parlare de Alice nel paese delle meraviglie, presentato qualche anno fa al festival di Berlino e sempre prodotto dall’Icaic, dove addirittura il lider maximo veniva paragonato al diavolo in una delle tante e pesanti metafore della pellicola.

    Si favoleggiò allora sulla sorte infausta del regista che tanto aveva osato. Io l’ho ritrovato, l’anno successivo, presidente della giuria al festival del cinema latinoamericano dell’Avana. Qualcuno mi accuserà di «conflitto di interessi» perché sono da 12 anni (e me ne vanto) iscritto al partito comunista di Cuba. Non è vero: sono un rockettaro e faccio anch’io politik.

    Tornando a noi, mi sembra un po’ diverso il caso dell’onorevole Grillini che si è pubblicamente risentito perché Adriano considera rock i gay e lento il matrimonio fra omosessuali. Celentano è un cattolico e quindi ha il diritto di pensarla come vuole. Grillini, invece, dichiara giustamente di essere un gay, ma gay, tradotto letteralmente, non significa gaio, ovvero allegro, contento, gioioso, di buon umore? Perché quindi, caro onorevole, accigliarsi tanto? Mi viene il dubbio che non sia gay. E questo sarebbe uno scoop.

    Intanto anche i giornali stranieri si occupano, elogiando il programma, di RockPolitik. E purtroppo si occupano anche del contorno di latrati che si è levato su questo autentico avvenimento. Celentano, si sa, è popolare in Francia, in Germania e persino in Russia fin da quando si chiamava Urss. Stavolta però hanno parlato di lui anche Variety, Hollywood reporter e Washington post, anche se i suoi brani, in Usa, sono purtroppo (penso ai diritti d’autore) poco conosciuti. Qualcuno si domanderà perché. La risposta è semplice: perché Celentano ha paura dell’aereo e anche delle navi. Penso alla sua storia quando combaciava con la mia. Molti anni fa i suoi dischi interessavano alla Reprise, società discografica allora controllata addirittura da Frank Sinatra, che ad Adriano, insieme con Ray Charles, è sempre piaciuto tanto. Mi telefonò un noto impresario italo americano, Herbert Landi, chiedendomi di parlare con il Molleggiato perché sarebbe stato opportuno farlo andare negli Stati uniti. Nel primo viaggio, della durata di quindici giorni, avrebbe anche potuto non cantare: interviste in televisione, visite agli italiani d’America e poco più. Insieme a lui potevano andare anche sua moglie, Miki Del Prete, l’autista e il sottoscritto. Viaggio, vitto e alloggio in albergo a cinque stelle tutto pagato, in più trenta dollari a testa di argent de poche. Mi misi subito al lavoro ed escogitai addirittura un viaggio fino a Shannon, nel nord della Gran Bretagna, in macchina o in treno, poi quattro giorni di nave fino in Canada e lì ci avrebbe atteso l’autista di Adriano, con tanto di limousine, per portarci a New York. Adriano titubava: un viaggio troppo lungo. Di aereo neanche a parlarne e poi quattro giorni di navigazione sull’Atlantico erano davvero troppi. Fu solo a una tappa del Cantagiro e precisamente a Terni, che Adriano declinò decisamente l’invito. Landi, che lo aveva inseguito per dieci giorni, ci rimase molto male. Io peggio di lui. Oggi qualcuno dice che Adriano declinò l’invito perché era legato a ambienti diciamo alla Tony Soprano. Ma anche Sinatra non disdegnava certe frequentazioni, che per altro gli permisero di far vincere J.F. Kennedy nello stato della California. E poi due anni fa Adriano, per amicizia, salvò il rovinoso festival di Sanremo correndo in aiuto a un altro Tony, Tony Renis, anche lui frequentatore oltre Atlantico di ambienti non precisamente integerrimi e, il che è molto peggio, amico del grande faccendiere.

    Circa la terza puntata, bisogna dire che in effetti è stata un po’ lenta, anche se sempre rock. Solamente Mollica, in Rai, ha fatto osservare che è la prima volta che la terza puntata di un programma arriva a punte di circa 10 milioni di ascolto e ben il 45% di share. Scusate se è poco. E poi oramai in tutte le televisioni pubbliche e private non si parla d’altro. La verità è che Adriano Celentano, fra un silenzio e l’altro, dice cose che tutti gli italiani vorrebbero dire. Con buona pace del grande faccendiere e dei suoi lustra scarpe.

    www.ilmanifesto.it 5/11/05