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Strisciante omologazione

Publie le mercoledì 6 settembre 2006 par Open-Publishing
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Dazibao Analisi Alessandro Ambrosin

di Alessandro Ambrosin

Viviamo in un mondo capitalista governato dalla iper-produzione, con caratteristiche sempre più marcate dalle attività speculative che tale iper-produzione comporta. Analisti economici seri capiscono che la crisi capitalistica si basa in maniera inconfutabile sulla condizione traballante del sistema finanziario. Un quarto della popolazione mondiale vive ai suoi vertici, nell’opulenza, mentre i restanti tre quarti vivono nel più completo sfacelo, dove l’aspettativa di vita è proporzionale all’incertezza del futuro.

Mentre nelle società preindustriali i beni prodotti servivano essenzialmente per soddisfare i bisogni umani, nell’economia capitalistica il prodotto diventa merce e come tale è finalizzata al mercato e alla produzione di ricchezza. Solo secondariamente alle necessità umane.

Negli anni ‘50 sorge la società post-industriale. Essa basa la propria forza sul consumo di veri e propri sistemi da bisogni indotti. La scienza e la tecnica sanciscono la propria supremazia sull’uomo.

Nella società industrializzata avanzata si afferma in modo evidente ed incontrovertibile la monolitica cultura del consumismo. La conseguenza di un’omologazione di tale portata è l’appiattimento dei conflitti di classe all’interno della totalità sociale: cadono le differenze specifiche tra ceti, l’individuo perde la sua autonomia intellettuale per trasformarsi in un insignificante elemento di una massa uniforme di uomini. Questa cultura è quella dominante, quella del consumo, dell’apparire, del competere, quella che ha omologato tutti attorno a dei riferimenti e a dei simulacri che hanno ormai penetrato l’animo più profondo e intimo di ogni essere umano.

Basta stare tra le persone al supermercato, al lavoro, nelle occasioni di divertimento, nei dibattiti politici, nelle feste e nelle sagre paesane, nella passeggiata del sabato tra le vie di una qualsiasi città o paese. È sufficiente lasciarsi toccare e anche solo sfiorare da ogni momento di vita sociale per rendersi conto che ormai nessuna differenza significativa esiste tra l’operaio di una grande fabbrica, l’artigiano, la commessa, l’operatore finanziario, l’avvocato o il commercialista, la casalinga o il commerciante, l’impiegato o il contadino. Tutti vivono o aspirano a vivere nello stesso identico modo, secondo gli stessi schemi, seguendo i medesimi miti, nutrendo speranze e alimentando desideri assolutamente uguali.

È il trionfo di una cultura di massa che ha rivoluzionato in modo totale milioni di vite e ha creato i presupposti concreti per la sua perpetuazione attraverso un’opera di profonda penetrazione in ogni essere umano. Insomma, è una cultura totalizzante che ha colonizzato i desideri oltre che le abitudini. Questa è stata la vera rivoluzione, la specificità di una trasformazione epocale. Mai nel corso della storia il mutamento è stato così radicale, vero, profondo. E mai un processo di cambiamento ha assunto i connotati di un’aspirazione all’omologazione.

Nel 1973 uno tra i maggiori intellettuali italiani del ‘900, sicuramente il più profetico, scriveva sul Corriere della Sera quelli che oggi conosciamo come “Scritti corsari”: Pier Paolo Pasolini.

L’articolo è rivolto ai dirigenti della Rai e dice testualmente:

“la televisione, in termini di totalitarismo, è riuscita a fare quello che vent’anni di fascismo non sono stati minimamente in grado di realizzare, omologare milioni di persone intorno ad un unico modello sociale.”

Pasolini capisce e descrive quanto devastante sia il passaggio dalla millenaria tradizione e cultura contadina al mondo produttivo-distruttivo dell’industria.

Credo che prima di Pasolini nessuno abbia usato in questi termini la parola omologazione, vale a dire nel significato che ora noi attribuiamo all’espressione “globalizzazione”. Anche Giddens, Baumann e Chomsky, tra i massimi esponenti della sociologia contemporanea, molti anni dopo hanno scritto numerose analisi di questo fenomeno, descrivendolo fondamentalmente nello stesso modo.

L’epicentro catalizzatore di tale fenomeno ha inizio negli Stati Uniti d’America, dove si originano, a partire dal primo decennio dello scorso secolo, tutte le tendenze uniformanti che percorrono le profondità del dispiegamento storico-culturale in cui siamo immersi, più o meno consapevolmente.

Su questo fenomeno sociologico, è necessario e più che mai urgente, porsi delle domande, cercare delle risposte, formulare delle ipotesi, ma, soprattutto, uscire da schemi obsoleti, abbandonare interpretazioni vecchie e rassicuranti, disertare luoghi comuni del pensiero, magari politicamente corretti, ma fallaci e patetici nel loro svolgersi.

Tutto questo non è facile, anzi, è mostruosamente difficile, complicato, persino rischioso, perché la suadenza strisciante di questa cultura è potente, sottile, ammaliante. I fenomeni sociali che caratterizzano l’epoca contemporanea sono onnipresenti e rappresentano con dovizia di particolari la scena del teatro della convivenza.

Un altro aspetto attraverso il quale si manifesta la comune (a tutti i ceti e a tutte le età) cultura appena descritta è lo sdoppiamento morale, un fenomeno ormai esteso e penetrato in ogni realtà. Sia che si tratti di questioni generali e etiche, sia che si discuta di comportamenti sociali, vige una sorta di doppia velocità, di schizofrenica valutazione: una pubblica, identitaria, di appartenenza obbligata a un sistema ufficiale di valori, un’altra privata, intima, comoda traduzione personale di ogni morale.

La rivoluzione della massificazione totalizzante ha vinto su ogni resistenza perché ha colonizzato i desideri generando la più grande ed esclusiva trasformazione sociale che la storia abbia conosciuto, nonostante le grandi rivoluzioni del passato e a prescindere da ogni dichiarazione d’intenti, da ogni proclama. È una rivoluzione tutto sommato silenziosa, senza schieramento di truppe, senza eserciti più o meno popolari, ma straordinariamente insinuante, sottile, appetibile, desiderabile, e per questo più efficace, vincente.

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Il cambiamento si opera dalla base

A più riprese, negli ultimi 50 anni della storia italiana, i lavoratori hanno dimostrato il loro potenziale rivoluzionario. Dal rovesciamento di Mussolini nel ‘43 ai movimenti di massa degli anni ‘60/’70. La borghesia italiana, nonostante le sue vanterie sul sorpasso, ha dimostrato comunque una forte incapacità a governare. La crisi attuale che colpisce la società a tutti i livelli (economico, sociale,politico e morale), non è altro che l’espressione della debolezza del capitalismo italiano e del fatto che esso ha perso la propria funzione storica. Tutto ciò è rivelato dal fatto che a soli 130 anni dall’unità d’Italia la Costituzione venga messa seriamente in discussione. Un fatto del genere è già di per sé una condanna devastante del capitalismo italiano.

Credo che solo la classe dei lavoratori potrà indicare una via d’uscita da questa impasse. Le mezze misure sono inutili: non si può curare un cancro avanzato con dei palliativi. Occorre una trasformazione radicale della società, e ciò sarà possibile solo nel momento in cui la classe lavoratrice avrà capito il carattere della crisi attuale ed avrà elaborato la necessità di doversi caricare sulle spalle la gestione della società.

In base agli enormi progressi della scienza e della tecnica sarebbe possibile gettare subito le basi di una forma di società qualitativamente superiore, in cui uomini e donne potrebbero controllare coscientemente la propria vita e il proprio ambiente, invece di essere controllati da essi.

La condizione necessaria, e di ciò sono fermamente convinto, è dare alle persone la possibilità di accedere a questo cambiamento. Dare ai lavoratori l’opportunità di cambiare il mondo in cui viviamo.

Oggi più che mai siamo al centro di una vertenza generale contro tutti i settori lavorativi, in cui la possibilità di partecipazione è praticamente impossibile. La causa maggiore è prevalentemente l’orario d’impiego di molteplici categorie, che non offrono nessuno spazio collaterale. La situazione del precariato è ancora più drammatica, ma potrebbe essere quasi del tutto eliminata. Lavoriamo meno, ma lavoriamo tutti. In tali condizioni, liberati dalla tirannide del mercato e dei gretti calcoli finalizzati esclusivamente al profitto, si potranno moltiplicare esponenzialmente la creatività e le capacità umane a disposizione della società.

Messaggi

  • Il fondamento ideologico del berlusconismo è la ricerca di una costante e sistematica omologazione culturale all’interno della società italiana: Silvio B. , anche se ha perso le elezioni, ha ottenuto il consenso di circa dieci milioni di italiani, la stragrande maggioranza dei quali non hanno il conto in Svizzera, la BMW in garage, la barca a Porto Cervo e la seconda casa a Cortina e non l’avranno mai : eppure continuano a votarlo.
    Il Berlusconismo è un’ideologia che è ormai interiorizzata e profondamente penetrata nella coscienza degli italiani attraverso l’imbonimento televisivo, la pubblicità e più in generale imposta con la manipolazione del pensiero operata dall’industria culturale e da tutto il sistema mediatico da essa controllato.Nella lotta contro il centro-destra di Silvio B. oggi nessuno si chiede se per caso un tale leader, esattamente lui, non rappresenti la mentalità del nostro onnipresente ceto medio meglio di chiunque altro. Nessuno si chiede chi ha creato quella società italiana modernizzata che corrisponde alla leadership di Silvio B.. Nessuno cerca di capire come mai la sinistra è sempre meno creduta e ed amata dai suoi stessi elettori.Forse la ragione è che i partiti di centro-sinistra vengono visti come la variante sbiadita, spersonalizzata ed ipocrita di ciò che Silvio B. rappresenta del tutto coerentemente e senza pudore. Lui sì è un vero “carattere” italiano. Lui è la versione trasparente e riuscita di ciò che l’italiano medio è stato indotto a desiderare di essere.
    Indubbiamente se ci si riferisce ad un generico "ceto medio" si compie una banalizzazione sociologica se non proprio antropologica. Già Pasolini, trent’anni fa, osservava come fosse sempre più difficile segmentare la società in ben definite classi sociali : oggi le divisioni sono molto più trasversali ed i confini incerti. Il "berlusconismo" trae forza anche da questa confusa polarizzazione sociale, imponendo con più facilità valori fasulli e stereotipi culturali, senza incontrare resistenza da parte di preesistenti culture particolari e di classe che oggi non esistono più. Lo stesso Fascismo da questo punto di vista incontrò seri ostacoli ad imporsi come ideologia dominante : la cultura fascista non penetrò mai a fondo nella coscienza della maggior parte degli Italiani, che, anche quando la accettarono, lo fecero per lo più per convenienza o quieto vivere e non per vera convinzione. La situazione odierna è per certi aspetti più complessa e di più difficile superamento, in quanto il condizionamento politico deriva da fenomeni di omologazione culturale che, molto spesso, vengono subiti in maniera inconsapevole.
    MaxVinella