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XXVI anniversario della Revolucion Popular Sandinista: Ricordi dell’insurrezione 19 luglio 1979-2005

Publie le martedì 19 luglio 2005 par Open-Publishing

Dazibao America Latina Storia

di Giorgio Trucchi

"Il Nicaragua è pieno di giovani che si sono messi lo zaino in spalla e sono andati a lottare e che si sono convertiti in veri eroi del popolo nicaraguense. Uomini e donne esemplari che hanno sacrificato la propria gioventù e molto spesso la propria vita per la libertà della popolazione del Nicaragua" Julio Lopez Campos

Comandante Dora Marìa Tellez - "In quei giorni ero molto agitata. Mi davano fastidio i rumori, la gente che entrava e che usciva e non capivo perché. Eravamo chiusi in una "casa de seguridad" a Leòn ed avevamo a disposizione solo pistole.

Sentivo che qualcosa non andava e continuavo a chiedere a Pin che si facesse dare almeno dei fucili e fu tanta la mia insistenza che alla fine riuscì a farsene dare tre.
La situazione stava diventando davvero critica. Pin soffriva di asma ed io ero sempre più nervosa e quindi decisero che me ne andassi a Managua e me ne andai.

Prima di uscire vidi Pin e Lenìn Fonseca in fondo alla casa e andai a salutarli. Mentre li abbracciavo inizia a piangere senza motivo e non riuscivo più a fermarmi.

A Managua mi nascosi in un’altra casa de seguridad che era della sorella di Edgard Lang e due giorni dopo venni informata che avevano attaccato la casa di Leòn e che quasi tutti i compagni erano morti. Quasi tutta la dirigenza del Fronte Occidentale era stata uccisa.

Si salvarono solo alcuni che erano arrivati tardi a una riunione. Tra questi Lenìn Fonseca e Leticia Herrera, che stava arrivando e che vide lo spiegamento della Guardia Nacional e poté scappare prima di essere presa.

Questa cosa di sentire che sarebbe successo qualcosa di grosso mi ha salvato la vita molte volte.

Anche a Granada è successo lo stesso. In quell’occasione la Guardia Nacional era già dentro la casa ed aveva catturato un compagno. Io arrivai fino alla porta ed ero terrorizzata senza sapere il perché. Avevo una paura che non riuscivo a controllare e quindi me ne andai, raggiunsi la macchina che stava guidando un compagno che oggi è tenente colonnello dell’Esercito e scappai.

Più tardi seppi che la Guardia era già dentro dalle tre di mattina e che avevano preso il compagno e lo avevano bruciato vivo a Puerto Asese a Granada.

Chissà che cos’era? Ma da allora ho sempre imparato ad ascoltare le mie sensazioni.
Dopo questo massacro di Leòn, il Frente Occidentale era rimasto senza una conduzione e quindi dovetti prendere il comando dato che eravamo alla porta dell’offensiva finale.

La cosa più importante fu quello di ristabilire, in un momento molto difficile, tutta la rete di contatti, la rete insurrezionale, rimotivare la gente e in tutto questo processo le donne ebbero un peso fondamentale.

Le tre tendenze interne al Frente Sandinista (GPP, Proletarios e Terceristas) si riunificarono nell’emergenza e questo fu importante e facilitò il processo di ricomposizione. Io venni eletta Jefa de Insurrección da tutte e tre le tendenza, anche se si mantenevano strutture separate e distanze che si erano create durante il periodo della guerra.

Nonostante questo, tutti i combattenti di Leòn erano formidabili e si misero a disposizione della causa e dell’insurrezione finale.

Alla fine iniziò l’offensiva finale per liberare Leòn. Fu un combattimento intensissimo che durò 17 giorni ed utilizzammo la famosa tanqueta Aracelly (che oggi si può ancora vedere nel Parco Storico Loma de Tiscapa a Managua n.d.r.). Poi combattemmo fino al 7 luglio per liberare il Fortìn, la caserma militare che si trovava su un colle appena fuori Leòn.

La liberazione del Comando della Guardia Nacional fu un’operazione straordinaria. La realizzammo in cinque, di cui due donne.

Dovevamo entrare nel Comando mentre la Guardia era ancora dentro, scavare una fossa dove avevamo saputo che la Guardia aveva seppellito molte armi sotto i corpi di alcuni militari morti e portare fuori le armi che ci sarebbero servite per l’attacco finale.

Alla fine ce l’abbiamo fatta. Siamo entrati di notte grazie alle informazioni che ci avevano dato alcuni militari che avevamo fatto prigionieri ed abbiamo scavato la fossa con le mani e sotto i corpi ormai putrefatti abbiamo trovato più di 600 armi tra cui FAL, Garand, RPG 7, mitragliatrici.

La Guardia li aveva seppelliti perché ormai erano rimasti in pochi e non avrebbero potuto usarli e non volevano che cadessero nelle mani dei guerriglieri.

Mano a mano che dissotterravamo i fucili li passavamo a una catena umana che si era formata fino a portarli in una casa dove sono stati puliti.

In questo modo abbiamo armato centinaia di persone ed abbiamo dato l’assalto finale".

Tirsa Chàvez - "Il mio primo contatto diretto con il Frente Sandinista è stato alla fine del 1976 quando avevo 14 anni e fu molto casuale. Mia mamma era amica della mamma di Vicente Chàvez ed io ascoltavo sempre le loro conversazioni che parlavano di una ragazza che stava collaborando con la guerriglia. Un giorno riuscii a identificarla perché arrivò a casa e mi resi conto che aveva una pistola. Insistetti così tanto che alla fine mi diede alcune missioni semplici.

Alla mia età avevo paura che mia madre mi scoprisse ed una volta ricordo che, mentre ero in una casa de seguridad aspettando di compiere una missione di consegna di un messaggio, ero molto nervosa perché erano già le 23 e sapevo che mia mamma mi avrebbe picchiato perchè era tardi.

In quel tempo il mio referente era Walter e si accorse del mio nervosismo.
Quando seppe la mia età mi prese e mi mandò a casa. Credo che fu il primo e ultimo guerrigliero che obbligò un messaggero ad andarsene a casa prima di aver svolto il proprio compito!

Mi mandavano a prendere e portare lettere e messaggi tra Leòn e Chinandega.
Ricordo che una volta Raul Cabezas, fratello di Omar che morì il 7 luglio nell’assalto al Fortìn di Leòn, mi diede il compito di portare una circolare che era quella che il comandante "Modesto" (Henry Ruiz) mandava a Tomàs Borge. Era un compito importante per il contenuto della lettera stessa.

Più tardi cominciai a lavorare con il sindacato delle bananeras che era gestito quasi interamente da donne a El Viejo e con Aura Ortiz Padilla che poi morì a Jinotepe.
In quel periodo la situazione a Chinandega era difficile a causa della forte repressione che la Guardia Nacional aveva scatenato durante il 1974 e 1975.

La gente aveva paura ed era difficile far sì che si integrasse ancora alla lotta. Ci dicevano che erano disposti a unirsi alla lotta solo se portavamo le armi e non solo discorsi politici. La repressione era stata così dura che la gente era disposta a muoversi solo se potevano imbracciare un fucile per difendersi.

Nel mese di maggio del 1979 cominciammo a lavorare per l’insurrezione finale. Chinandega era una città difficile da conquistare e fino al 18 luglio rimase nelle mani della Guardia Nacional.

Si cominciò quindi a fare un lavoro di accumulazione di forze.

La gente che voleva combattere veniva organizzata e inviata sui monti vicini, soprattutto sul Vulcano Chonco in attesa del segnale per l’offensiva finale.
La strategia fu anche di cominciare a liberare i paesi vicini come Chichigalpa e Posoltega, mentre dall’Honduras arrivavano le truppe sandiniste comandate da Sergio Mendoza per poter attaccare la Guardia Nacional da più direzioni.

In tutte queste azioni ci furono molte imboscate da parte della Guardia dove morirono molti compagni e compagne.

L’idea era che l’insurrezione dovesse cominciare il 2 giugno del 1979. Lo stesso giorno si cercò di entrare a Chinandega, ma l’attacco venne respinto. Il giorno dopo si provò ancora passando da El Viejo, ma fu tutto inutile e fu lì che morì Lenìn Fonseca.

A conseguenza di questo, la maggior parte della gente decise di ritirarsi fuori da Chinandega come ho già detto e di cominciare a liberare i paesi circostanti.

Ci furono molti problemi di coordinazione tra le tre tendenze del FSLN e anche una mancanza di passaggio d’informazioni e questo provocò due imboscate a guerriglieri che stavano arrivando su un camion sulla strada principale che porta a Chinandega.

Il 24 giugno, durante la liberazione di Chichigalpa, morì Josè Mercedes Cubillo, un ragazzo che offrì la sua vita per bloccare una tanqueta (piccolo carro armato) che si stava dirigendo verso le barricate. Uscì con il suo lanciamissili e la bloccò fino ad essere abbattuto, ma ciò permise alle nostre forze di avanzare e di liberare la città.

Dopo la liberazione di Chichigalpa e le due imboscate che avevano decimato le forze presenti, dovemmo decidere chi rimaneva a Chinandega e chi se ne andava con il resto delle forze sui monti.

Nessuno voleva restare perché sapeva che voleva dire morire sicuramente.

Alla fine facemmo testa o croce e a me toccò restare a Chinandega con una missione molto specifica, che era quella di organizzare le mappe, far uscire la gente che era rimasta in città, riorganizzare i contatti. Fu un lavoro incredibile che mi insegnò molto.
Rimanemmo praticamente da soli, senza vestiti, senza casa dove poterci nascondere e in quella situazione anche la divisione tra le tendenze perse senso e cominciammo ad aiutarci a vicenda.

Continuò così fino a metà luglio.

La notte del 18 luglio la Guardia Nacional, quando si accorse che l’intero Nicaragua era nelle mani del FSLN, cominciò a dinamitare la caserma centrale e a dar fuoco a tutto. Molta gente che era prigioniera morì bruciata, mentre i soldati scapparono approfittando del buio.

Della caserma restarono solo macerie e il 19 luglio entrarono le truppe del FSLN.
La prima cosa che feci è chiedere di mio fratello Alfredo e dopo tutto quello che era successo e che avevamo vissuto non riuscii quel giorno ad essere felice ed a festeggiare la liberazione. Me ne andai a casa e mi misi a dormire. Solo dopo qualche giorno mi resi conto di quello che era successo e che avevamo fatto".

Enrique Rojas "Modesto" - "La mia famiglia è originaria di Sutiava a Leòn. Fin da piccolo amavo gli aerei e desideravo essere pilota. Per poter realizzare questo sogno l’unico modo era entrare nell’Accademia della Guardia Nacional. Mio padre, che era un acerrimo antisomozista, non voleva che io prendessi questa strada, ma alla fine la mia insistenza lo convinse.

Finita l’Accademia mi iscrissi alla Forza Aerea con una borsa di studio e mi mandarono negli Stati Uniti per fare il corso da pilota militare.
Riuscii a fare tutto questo e senza soldi, grazie a mio nonno che era somozista convinto e molto amico di "Tacho" Somoza.

Nel 1965 cominciai a pubblicare un piccolo giornale in cui toccavo i vari episodi di corruzione all’interno della Guardia Nacional. L’idea era quella di provare a cambiare le cose da dentro, ma quello che ottenni è che mi obbligarono ad abbandonare la carriera militare.

Contemporaneamente a questi fatti continuai a frequentare l’università e proprio in questo ambiente venni in contatto con il movimento studentesco che si opponeva alla dittatura.

Cominciai a frequentare il Frente Estudiantil Revolucionario (FER), anche se non ero mai riuscito ad entrare totalmente in quanto non avevano fiducia di una persona che veniva dalla Guardia Nacional.

Erano gli anni in cui a Leòn studiavano Bayardo Arce e William Ramirez, i quali non erano ancora entrati in clandestinità ed era chiara la loro diffidenza nei miei confronti.
Alla fine riuscii a entrare grazie ad alcuni compagni di corso che facevano già parte del FER e che si fidavano di me.

Il mio primo compito fu di "recuperare" le macchine che sarebbero servite per fare degli operativi per la "tendenza tercerista". Le prelevavo dai benzinai e poi, se l’operativo era andato bene, le riportavo dove le avevo prese. Con il tempo cominciai a collaborare anche con altre "tendenze" del Frente come i "proletarios".
Non chiedevo mai i nomi per misura di sicurezza, facevo il mio lavoro e basta.
Ricordo che il mio riferimento dei "Proletarios" era un ragazzo di Ciudad Sandino che poi morì durante il Repliegue.

Un giorno, quello che poi scoprii più tardi essere Samuel Santos (attuale responsabile Affari esteri del FSLN n.d.r.) e che faceva lo stesso mio lavoro di recuperare macchine per gli operativi, mi propose di entrare nel FSLN.
Samuel era della GPP e quindi in quel periodo stavo collaborando con le tre "tendenze"!

Mi mise in contatto con il Comandante William Ramirez "Aurelian" per lavorare come pilota.
In effetti non avevo mai smesso di pilotare nonostante gli impegni di studio.
Dopo i problemi avuti nel 1965 con la Guardia Nacional, non mi volevano dare la licenza per poter continuare a lavorare come pilota civile, ma alla fine me la diedero per pilotare solo piccoli aerei.

Lavorai quindi 10 anni fumigando i campi di cotone nella zona di Leòn e quindi nel 1975, quando finii l’università, ripresi a volare e mi diedero la licenza per portare aerei bimotore.
Cominciai a lavorare in un servizio di taxi aereo fino a quando un giorno fui a prendere un impresario nordamericano a Siuna e lo trasportai a Leòn.
All’arrivo scesi dall’aereo per risposare, ma quando mi apprestai a ripartire vidi che tre ragazzi stavano salendo sull’aereo e mi sequestrarono.

Già in volo mi dissero che erano del Frente e che volevano andare in Venezuela, ma con quell’aereo era impossibile arrivare fino a là. Alla fine li convinsi a fermarsi in Costa Rica e quando scendemmo i ragazzi riuscirono a scappare mentre io venni imprigionato.
A seguito di questo fatto mi tolsero la licenza per sei mesi in quanto la Guardia Nacional non credette alle mie parole e pensò che avessi portato i guerriglieri fuori dal paese di proposito.

Fu a questo punto che Samuel Santos mi propose di incorporarmi a tutti gli effetti nel Frente e lavorare come pilota.
La mia prima vera azione fu il 15 giugno del 1979 quando bussarono alla mia porta ed era Justo Rufino Garay che mi diceva che Aureliano mi aspettava.
Salutai la mia famiglia ed uscii. Mi portarono in una casa nei quartieri orientali di Managua e mi trovai con il comandante Ramirez e il comandante Joaquìn Cuadra.
Mi mandarono in Costa Rica.

"Con cosa ci arrivo?" domandai e la risposta fu che dovevo arrangiarmi e rubare un aereo.
"E’ vero!" pensai e quindi comincia a pensare come fare.
Il giorno dopo presi una pistola e andai all’aeroporto de Los Brasiles. Una volta entrato con la scusa che dovevo portare da mangiare ad un amico mi resi conto che tutti gli aerei erano bloccati o controllati.
Mentre pensavo cosa fare atterrò un bimotore della INFONAC.
A quel punto mi avvicinai all’aereo, tirai fuori la pistola per bloccare il soldato che stava curando l’aereo e salii con lui.

Accesi l’aereo e partii mentre i soldati, che ormai si erano resi conto di quello che stava succedendo, cominciavano a spararmi.
In questo modo arrivai in Costa Rica ed atterrai il prima possibile perché stava finendo la benzina.
Nascosi l’aereo e mi misi in cammino per arrivare a San Josè.
A un certo punto di fermò un autobus e una volta salito mi resi conto che seduto in fondo c’era un compagno del Frente. Tirai un sospiro di sollievo e una volta arrivati nella capitale mi mise in contatto con la gente del Frente.

Appena arrivato a San Josè si organizzarono per comprare un aereo. Lo trovammo ed era un bimotore Cessna che veniva utilizzato per fare fotografie aeree.
L’idea era di utilizzarlo per portare munizioni alla resistenza a Managua. Le avremmo gettate dall’aereo nei pressi della Rotonda di Bello Horizonte dove i guerriglieri avrebbero acceso fuochi per indicarci il posto.

Il nostro arrivo era previsto per la una di mattina, ma per vari disguidi partimmo da San Josè alle 4 di mattina.
Arrivammo a Managua che era già chiaro. Con me c’erano due persone tra cui un ragazzo di Granada, Eddy Brenes, che morì quattro anni dopo durante la guerra con la Contra mentre pilotava un elicottero.
Arrivando sopra la rotonda cominciammo a tirare i sacchi di munizioni e queste furono fondamentali per le truppe che poterono così resistere fino al 27 di giugno quando si fece il famoso "Repliegue Tattico" verso Masaya.

Dopo questa missione ne facemmo altre due ma nell’ultima, la Guardia aveva ormai capito e cominciarono a tirarci missili.
Oltre a questo fatto, nella caduta almeno il 50% delle munizioni si perdeva e quindi dopo l’ultima missione decidemmo di continuare a volare ma cercando posti dove atterrare.

Fu un lungo lavoro per cercare piste o posti dove fosse possibile e sicuro atterrare.
Una volta atterrammo anche sulla strada principale tra San Isidro e Leòn e un’altra volta a Piedra Quemada. In questo modo potevamo trasportare anche armi e addirittura cannoni.
C’erano giorni in cui volavamo anche tre volte al giorno e in tutto il territorio nazionale.

Mi sono sempre chiesto da dove uscivano questi aerei, ma non l’ho mai saputo. Ci sono stati momenti in cui avevamo a disposzione anche 5 aerei.
Uno degli ultimi voli che feci fu quello per trasportare la Giunta di Governo di Ricostruzione Nazionale una volta liberato il Nicaragua".

Ricordi tratti dal programma "Entre todos" di Radio La Primerísima condotto da Monica Baltodano

(Testo Giorgio Trucchi - Foto Susan Meiselas)