Home > ALE’ MUNDIAL

ALE’ MUNDIAL

Publie le domenica 9 luglio 2006 par Open-Publishing
1 commento

Dazibao Enrico Campofreda Sport

di Enrico Campofreda

”I francesi che s’incazzano pa pa ra pa ra pa pa e le palle ancor gli girano...”. C’è chi stasera vorrà cantare Paolo Conte per rinverdire coi pedatori le glorie italiche di Bartali anche in epoca in cui lo sport non è più epica ma evento assai mediatico e ben poco romantico. A contribuire a questo c’è un sistema reso losco da troppi interessi del capitale. Il doping e le truffe sono un tutt’uno col gagliardo vigore degli atleti? E dire, come qualcuno ha fatto, che il fine giustifica i mezzi è solo una miseria da curva più vicina a un cieco integralismo talebano che a un normale istinto di conservazione.

Abbiamo amato il pallone, l’ebbrezza che offre la sua spigolosa rotondità, il vigore molto giovanile di cui ha bisogno il suo agone, il valore collettivo che infonde contro ogni idea d’individualità sfrenata.

Come altri sport di squadra il calcio può essere maestro di vita. Insegna slancio e creatività e al tempo tattica e attesa, si è campioni quando si è completi. Lo si è soprattutto quando si è equilibrati da capire quanto sia controproducente il vicolo cieco da tempo imboccato coi citati atteggiamenti di doping e truffa. Purtroppo gli inciampi diventano cronaca quotidiana al di là dei casi clou di Calciopoli o delle “cure Agricola”.

Che bisogno hanno atleti sani di truccare ulteriormente il loro motore, per correre cento volte più dell’Olanda di Cruyff? Infatti non ce l’hanno. E’ la schizofrenia dell’esasperazione che cerca il record dei 100 piani in 9’50, le volate in bici a 80 all’ora come se Owens e Berruti fossero state scamorze e Van Stenbergen un pivellino. Si dice che il progresso corre e chi è attraversato da qualche dubbio lancia l’alibi del ”così fan tutti”. Quest’alibi è diventato da tempo il cancro che divora quasi tutti gli sport. Una vera pandemia. Così il mondo anabolizzato, truccato, falsato rischia un’irrealtà che invece potrebbe evitare restando se stesso.

E allora signori calciatori in procinto di diventare campioni del mondo perché non vi ribellate? Perché anziché imbottirvi di medicinali e rischiar di finire come il povero Signorini, non date un bel segnale di rottura?
Personalmente non mi far star bene l’idea che un bravo atleta come Cannavaro si sia dopato e con lui molti compagni che stasera si giocano un super titolo. In troppi ormai lo fanno e si prestano ad altre pratiche illecite, prestazioni pilotate per favorire questo o quel club nei propri campionati. Può accadere anche con l’uniforme magna della nazionale? Uno scandalo mondiale non è ancora scoppiato, per ora è fantacalcio (a parte le congetture su Italia-Camerun dell’82).

Eppure non mi piace che calciatori sospettati d’illecito vestano la divisa più alta. Non si sarebbe dovuto permettere anche a costo di avere i buchi in certi ruoli. Perché questi ibridi producono o i classici colpi di spugna in caso di successo o i processi postumi che non portano a nulla.

Servirebbe invece l’automoralizzazione per non automortalizzarsi, in tutti i sensi o venendo scaricati dopo essere stati usati da un sistema corrotto che si perpetua o vedendo compromessa l’integrità fisica sino al pericolo dell’incolumità, com’è accaduto in Italia a una generazione di calciatori sulla quale si vuol stendere un velo tutt’altro che pietoso.

Italiani o francesi diventate campioni ma reclamate un calcio un po’ diverso. Dove non si rischia di crepare e si vince o perde ma solo per capacità o fortuna, demeriti o sfiga. Sempre che questo interessi.

Messaggi

  • Ciao Enrico, ho letto parecchi commenti in questi giorni attendendo la Domenica.
    Riporto quì uno di questi preso da Indymedia, a me è piaciuto. Ho visto anche io la partita, la prima per me.Ho ricordato mio padre arbitro, quando mi portava piccolina allo stadio o quando lo seguivamo in trasferta con mia madre e sorelle.Dagli anni 70, malgrado una tribuna dove poteva seguire il tutto, lo vidi sempre più lontano e demotivato. Ma non scordo la gioia dell’Italia Germania, in piazza con lui, con tanti... I giornali avranno di che parlare per giorni.Anche gli italiani.


    ABBIAMO VINTO! Tifosi patrioti…utili idioti.

    Il cielo è rovente, torno dall’orto con un’insalata per pranzo. In cortile trovo due vicini, padre e figlio, da sempre torvi. A ragione: una vita passata attaccato ad una macchina in fabbrica, il primo, appena agli inizi nell’esatta fotocopia, il secondo. Eppure oggi sono allegri, esaltati, direi. Mi viene incontro il vecchio, fa un cenno di forza con la mano. “Abbiamo vinto!” proclama.
    Stavo pensando alla siccità che non fa bene alle zucchine e resto inebetito. Abbiamo vinto? Chi, io?
    “Ieri…” continua imperterrito: la mia calma dev’essere durata troppo per la sua eccitazione.
    I pensieri corrono più veloci delle parole. Ieri... Ho passato una piacevole giornata camminando in montagna con mia madre. Precisamente, in quella Val Susa che mi è cara, da quando la tenacia della gente testarda che la abita ha incrociato la mia vita, dalle parti del Seghino.
    Sono ancora assorto nella frescura dei boschi e quello già continua: “…la nazionale!”
    Un fulmine sfascia i monti. Nazione. Che brutta parola. Ricorda i sacri confini, le bandiere, tutti quei fazzolettoni tricolorati che in molti espongono ai balconi, in questi giorni. Le stesse bandiere che sono ogni giorno fuori dalle questure e dalle galere. Sulle divise di alcune dei soldati che occupano l’Iraq e l’Afghanistan, o pattugliano il Mediterraneo, il “Mare Nostrum”, per acchiappare disperati sui barconi. Fuori, a volte, dalle scuole dove ti insegnano a pensare nella maniera corretta e, comunque, ad obbedire sempre. (A dirla tutta, ti insegnano anche cose utili: come far funzionare al meglio una macchina in fabbrica o in ufficio, per esempio).
    “Abbiamo vinto la partita”, insiste.
    Ah, si, il calcio! Ecco, allora, le urla, gli schiamazzi e il rumore di clacson che erano franati nel mio sonno come un incubo, ieri notte. Erano reali. Festa. Il giovane vicino avrà abbracciato raggiante il capoturno bastardo. Tutti contenti. Tutti fratelli d’italia. Così deve andare. Ognuno al proprio posto, operaio e padrone, sbirro e soldato, ogni giorno, poi, qualche volta, tutti insieme ad applaudire. Tutti contenti. Tutti fratelli d’italia. Chissà che bello, ieri sera.
    “Abbiamo vinto!”. Se applaudi davanti al megaschermo, vincono sempre loro, ogni giorno, sempre.
    Lo guardo ancora un minuto, senza dire nulla.
    Me ne vado, penso già nuovamente alle zucchine.
    Speriamo che piova.