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Alle radici dell’odio tragedie incomparabili sull’orlo di una foiba

Publie le lunedì 14 febbraio 2005 par Open-Publishing
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Dazibao Estrema destra Storia

La destra paladina del nuovo patriottismo celebra la Giornata del Ricordo isolando quella storia dalla cornice dei drammi che hanno lacerato l’Europa nei quali il fascismo ha trascinato, da protagonista e non da vittima, il nostro paese.

di ENZO COLLOTTI

Non era difficile prevedere che collocare la Giornata del Ricordo, per onorare le vittime delle foibe, a quindici giorni dal Giorno della Memoria in ricordo della Shoah, avrebbe significato dare ai fascisti e ai postfascisti la possibilità di urlare la loro menzogna-verità per oscurare la risonanza dei crimini nazisti e fascisti e omologare in una indecente e impudica par condicio della storia tragedie incomparabili, che hanno l’unico denominatore comune di appartenere tutte all’esplosione sino allora inedita di violenze e sopraffazioni che hanno fatto del secondo conflitto mondiale un vero e proprio mattatoio della storia.

Nella canea, soprattutto mediatica, suscitata intorno alla tragedia delle foibe dagli eredi di coloro che ne sono i massimi responsabili la cosa più sorprendente è l’incapacità dei politici della sinistra di dire con autorevolezza ed energia: giù le mani dalle foibe! Come purtroppo è già avvenuto in altre circostanze, l’incapacità di rileggere la propria storia, ammettendo responsabilità ed errori compiuti senza per questo confondersi di fatto con le ragioni degli avversari e degli accusatori di comodo, cadendo in un facile e ambiguo pentitismo, non contribuisce a fare chiarezza intorno a un nodo reale della nostra storia che viene brandito come manganello per relativizzare altri e più radicali crimini.

È assolutamente inutile girare intorno al centro dei problemi senza aggredirne il cuore. Continuare a deprecare le foibe senza porsi l’obiettivo di contestualizzarne l’accaduto contribuisce a fare della retorica, ad alimentare il vittimismo e a offendere ulteriormente la memoria di chi è stato coinvolto in una atroce vicenda e soprattutto di chi ha pagato innocente per responsabilità altrui. La vicenda delle foibe ha molte ascendenze, ma certamente la più rilevante è quella che ci riporta alle origini del fascismo nella Venezia Giulia.

È una storia nota e arcinota, su cui hanno lavorato storici della mia generazione, a cominciare da Elio Apih, ancora legati alla lezione e se si vuole anche ai limiti dell’irredentismo democratico di Salvemini, e su cui lavora una più giovane generazione di storici, Anna Vinci, Giampaolo Valdevit, Raoul Pupo per citare i più impegnati, con posizioni diverse tra loro ma tutti tesi a costruire le linee interpretative di un passato storico che, tenendo conto della complessità della situazione di un’area crocevia di culture diverse, contribuisca a creare una nuova cultura politica capace di fare uscire i comportamenti politici e culturali dalle secche dello scontro frontale fra gli opposti nazionalismi, la cui cecità si alimenta a vicenda delle speculari pretese di esclusione.

Sin quando si continuerà a voler parlare della Venezia Giulia, di una regione italiana, senza accettarne la realtà di un territorio abitato da diversi gruppi nazionali e trasformato in area di conflitto interetnico dai vincitori del 1918, incapaci di affrontare i problemi posti dalla compresenza di gruppi nazionali diversi, si continuerà a perpetuare la menzogna dell’italianità offesa e a occultare (e non solo a rimuovere) la realtà dell’italianità sopraffattrice. Non si tratta di evitare di parlare delle foibe, come ci sentiamo ripetere quando parliamo nelle scuole del giorno della memoria e della Shoah, ma di riportare il discorso alla radice della storia, alla cornice dei drammi che hanno lacerato l’Europa e il mondo e nei quali il fascismo ha trascinato, da protagonista non da vittima, il nostro paese.

Ma che cosa sa tuttora la maggioranza degli italiani sulla politica di sopraffazione del fascismo nei confronti delle minoranze slovena e croata (senza parlare dei sudtirolesi o della popolazione francofona della Valle d’Aosta) addirittura da prima dell’avvento al potere; della brutale snazionalizzazione (proibizione di uso della propria lingua, chiusura delle scuole, chiusura delle amministrazioni locali, boicottaggio nell’esercizio del culto, imposizione di cognomi italianizzati e cambiamento di toponimi) come parte di un progetto di distruzione dell’identità nazionale e culturale delle minoranze e della distruzione della loro memoria storica?

I paladini del nuovo patriottismo fondato sul vittimismo delle foibe farebbero bene a rileggersi i fieri propositi dei loro padri tutelari, quelli che parlavano della superiorità della civiltà e della razza italica, che vedevano un nemico e un complottardo in ogni straniero, che volevano impedire lo sviluppo dei porti jugoslavi per conservare all’Italia il monopolio strategico ed economico dell’Adriatico.

Che cosa sanno dell’occupazione e dello smembramento della Jugoslavia e della sciagurata annessione della provincia di Lubiana al regno d’Italia, con il seguito di rappresaglie e repressioni che poco hanno da invidiare ai crimini nazisti? Che cosa sanno degli ultranazionalisti italiani che nel loro odio antislavo fecero causa comune con i nazisti insediati nel Litorale adriatico, sullo sfondo della Risiera di S. Sabba e degli impiccati di via Ghega?

Ecco che cosa significa parlare delle foibe: chiamare in causa il complesso di situazioni cumulatesi nell’arco di un ventennio con l’esasperazione di violenza e di lacerazioni politiche, militari, sociali concentratesi in particolare nei cinque anni della fase più acuta della seconda guerra mondiale. È qui che nascono le radici dell’odio, delle foibe, dell’esodo dall’Istria.

Nella storia non vi sono scorciatoie per amputare frammenti di verità, mezze verità, estraendole da un complesso di eventi in cui si intrecciano le ragioni e le sofferenze di molti soggetti. Al singolo, vittima di eventi più grandi di lui, può anche non importare capire l’origine delle sue disgrazie; ma chi fa responsabilmente il mestiere di politico o anche più modestamente quello dell’educatore deve avere la consapevolezza dei messaggi che trasmette, deve sapere che cosa significa trasmettere un messaggio dimezzato, unilaterale.

Da sempre nella lotta politica, soprattutto a Trieste e dintorni, il Movimento sociale un tempo e i suoi eredi oggi usano e strumentalizzano il dramma delle foibe e dell’esodo per rinfocolare l’odio antislavo; rintuzzare questo approccio può sembrare oggi una battaglia di retroguardia, ma in realtà è l’unico modo serio per non fare retrocedere i modi e il linguaggio stesso della politica agli anni peggiori dello scontro nazionalistico e della guerra fredda. I profughi dall’Istria hanno pagato per tutti la sconfitta dell’Italia (da qui bisogna partire ma anche da chi ne è stato responsabile), ma come ci esorta in queste settimane Guido Crainz (in un prezioso libretto: Il dolore e l’esilio.

L’Istria e le memorie divise d’Europa, Donzelli, 2005) bisogna sapere guardare alle tragedie di casa nostra nel vissuto delle tragedie dell’Europa. Non esiste alcuna legge di compensazione di crimini e di ingiustizie, ma non possiamo indulgere neppure al privilegiamento di determinate categorie di vittime. Fu dura la sorte dei profughi dall’Istria, ma l’Italia del dopoguerra non fu sorda soltanto al loro dolore. Che cosa dovrebbero dire coloro che tornavano (i più fortunati) dai campi di concentramento - di sterminio, che rimasero per anni muti o i cui racconti non venivano ascoltati?

E gli ex internati militari - centinaia di migliaia - che tornavano da una prigionia in Germania al limite della deportazione? La storia della società italiana dopo il fascismo non è fatta soltanto del silenzio (vero o supposto) sulle foibe, è fatta di molti silenzi e di molte rimozioni. Soltanto uno sforzo di riflessione complessivo, mentre tutti si riempiono la bocca d’Europa, potrà farci uscire dal nostro nazionalismo e dal nostro esasperato provincialismo.

Messaggi

  • Come al solito,i fascisti tornati al potere grazie a Fini e Berlusconi,sconvolgono la storia a loro uso e oltraggiono la memoria delle vittime dei partigiani di Tito.
    Le vittime non erano solo fascisti: erano presi di mira tutti coloro che si opponevano al disegno dell’annessione della Venezia Giulia alla Jugoslavia, compresi molti antifascisti, membri del Cln che avevano fatto la Resistenza al fianco dei loro assassini. La "caccia al fascista", infatti, si esercitò, perfino con maggiore precisione, nei confronti di antifascisti, i componenti dei Comitati di Liberazione Nazionale di Trieste e di Gorizia, e gli esponenti della Resistenza liberaldemocratica e del movimento autonomistico di Fiume. Dunque, infoibati perché italiani. Lo sostiene anche lo storico Giovanni Berardelli: "La loro principale colpa era quella di essere, per la loro nazionalità, un ostacolo da rimuovere al programma di Tito di annessione del Friuli e della Venezia Giulia". Da cui l’odierna accusa di genocidio o di pulizia etnica.
    "Le foibe - sintetizza lo storico triestino Roberto Spazzali - furono il prodotto di odii diversi: etnico, nazionale e ideologico. Furono la risoluzione brutale di un tentativo rivoluzionario di annessione territoriale. Chi non ci stava, veniva eliminato".
    E i fascisti,gli SS italiani sfuggiti alla giustizia,strumentalizzano questa immane tragedia e ne approfittano per varare una legge che metta sullo stesso piano ,loro ,i carnefici,ai partigiani che hanno perduto la vita per combattere il nazifascismo e liberare l’Italia.

  • Collotti scrive cose sante che se fossero pubblicate su un sito diverso da questo gli attirerebbero le ire di tutti . Gli è che che le foibe, evento tragico ed ingiusto , sono e sono state l’unico appiglio per il neofascismo italiano per potersi definire vittime ingiuste dei vincitori . Altre considerazioni andrebbero fatte oltre a quelle svolte con maestria dal Collotti : in primo luogo che pulizie etniche più o meno violente a danno di chi aveva scatenato la guerra hanno coinvolto tutta Europa ; penso solamente alla espulsione dei tedeschi dai Sudeti da parte dei Cechi . In secondo luogo che , volenti o nolenti, una guerra devastante come la seconda mondiale non poteva dirsi finita con la sottosrizione degli armistizi . Vi è stato dopo un redde rationem fra vincitori e vinti un po’ dappertutto ; situazione questa che per esempio era avvenuta anche dopo la guerra civile spagnola, senza che alcuna voce si sia levata ( o si levi tuttora) per lamentare le stragi fatte dai franchisti dopo la vittoria . Ma ciò accadeva anche nelle guerre antiche ( penso alla sequela di lutti che ha coinvolto l’Europa nella guerra dei trent’anni anche dopo la cessazione ufficiale delle ostilità ) , solo che non vi erano giornalisti o scrittori a riportare le cronache di quei fatti , e che certe situazioni, come appunto le pulizie etniche , venivano considerate come un naturale corollario della guerra . La morale che si può trarre da tutto ciò quale è ? E’ una morale semplice e scontata : la guerra non è una competizione leale , dove si rispettano sempre le regole ; la guerra è quanto di peggio si possa concepire , e quanto deriva dalla guerra è parimenti un incubo che nulla ha a che vedere con alcuna regola di convivenza o con la logica.

    Buster Brown