Home > Fausto Bertinotti : "Il neocentrismo ci aggredisce perché siamo la (...)

Fausto Bertinotti : "Il neocentrismo ci aggredisce perché siamo la cerniera fra l’Unione e i movimenti"

Publie le lunedì 7 novembre 2005 par Open-Publishing

Dazibao Movimenti Partiti Partito della Rifondazione Comunista Parigi

Ancora un pacco bomba: questa volta contro la Tav. Intervista al segretario del Prc

di Stefano Bocconetti

Un’altra bomba. Simbolica - come le altre del resto - ma non per questo meno pericolosa. Stavolta in Val di Susa, dove un’intera comunità s’oppone al passaggio dei treni ad alta velocità, così come vorrebbe il governo. Come vorrebbero i governi: nazionale e regionale.

Partiamo da qui con Fausto Bertinotti, partiamo dal pacco esplosivo ritrovato sulla statale piemontese.

"Non ne so molto. Ma insomma non è difficile sommare gli episodi: prima Bologna, poi la Val di Susa"

 E la somma cosa dà?

Dà una volontà, che mi sembra piuttosto esplicita, di inquinare il conflitto. Il conflitto sociale.

 Forse anche qualcos’altro, non pensi? Insomma: le bombe arrivano sempre attorno agli obiettivi delle campagne su cui si impegna Rifondazione. Non è così?

No, non è esattamente così. Perché se vogliamo, per la vicenda di Bologna - molto schematicamente - si potrebbe anche parlare di un conflitto fra Cofferati e noi. Ma in Val Di Susa è proprio un’altra cosa. E’ un conflitto agito interamente dalla popolazione. Esattamente come avvenne a Scanzano, ricordi? Anche qui, come in Puglia, sindaci, sindacati, singole persone, un’intera comunità, inomma, si ritrova tutta insieme per ribellarsi. Eppure le intimidazioni sono avvenute sia qui che lì, a Bologna. E visto che mancano enunciazioni politiche...

 A cosa ti riferisci?

Sto parlando di quei tentativi, che pure ci sono stati in passato, di intervenire dentro un conflitto, magari per tentare di spostarlo su un terreno militare. Stavolta invece mi sembra che manchi una rivendicazione attendibile, non ci sono i soliti proclami. E allora, davvero, l’unica cosa decifrabile di queste bombe è il tentativo di inquinare il conflitto. Sporcarlo, costringerlo sulla difensiva.

 Bertinotti hai letto i giornali di oggi?

 Anche Il Riformista quando dice che Rifondazione riempie le piazze e le valli di manifestanti anti-Bresso e anti-Cofferati. E quando dice che gli anarco-bombaroli - con cui comunque il Prc nulla ha a che spartire - cavalcano le proteste per guadagnarsi la scena mediatica?

Sì, ho letto anche quello. Che dire? In questo caso, a me appare tutto abbastanza evidente.

 Di che parli?

La definirei così: cominciano a seminare. I fan dell’ipotesi neocentrista si sono messi al lavoro.

 E cominciano col prendersela con Rifondazione. E’ questo che vuoi dire?

Anche qui, non è esattamente così. Non siamo di fronte al tradizionale - vogliamo chiamarlo così - atteggiamento di chi decide che è arrivato il momento di tagliare le ali estreme e si dedica a questo lavoro. Con caparbietà. C’è qualcosa di più: se la prendono con noi esattamente perché vogliono colpire il ponte, la cerniera fra l’Unione e i movimenti sociali. In discussione, insomma, non c’è neanche questo o quel punto del programma: il loro progetto è trasformare la coalizione in un universo blindato. Impermeabile alle battaglie che si combattono là fuori, nelle città, nei luoghi di lavoro. Nelle valli.

 Scusa ma perché chiami tutto questo neocentrismo?

Mi sembra evidente. Tagliando i suoi legami con i conflitti, tagliando chi è in grado di fare da raccordo fra quei conflitti e l’Unione, si rende la coalizione non più autosufficiente. E a quel punto, si renderà necessario andare a cercarsi voti e consensi - e bada sto parlando di tutti e due: voti in Parlamento e consenso di altre forze sociali -, occorrerà andarsi a cercare uomini e mezzi dall’altra parte. In pezzi dell’altro schieramento. E a quel punto il cerchio neocentrista potrà chiudersi. Con una grossa coalizione o con qualche variante e subordinata, ma il senso sarebbe quello. E ti ripeto: la semina per tutto questo, è già iniziata. Ma, nonostante ciò, non la definirei un’offensiva.

 In che senso? Perché non si può parlare di offensiva?

Perché questa formula dà l’idea di chi gioca d’anticipo, di chi lancia l’iniziativa. Non è così: piuttosto parlerei di controffensiva del neocentrismo. Perché insomma anche loro, anche le forze e le culture moderate, hanno capito che il disegno di trasformare l’Unione in una coalizione autenticamente riformatrice, di spostarla a sinistra, insomma, è davvero alla portata. E’ un obiettivo raggiungibile, nell’ordine delle cose. Da qui, la loro replica.

 Ma cosa ti fa avere questa visione così ottimista?

Non si tratta di ottimismo. Si tratta di una valutazione attenta di cosa sta avvenendo. Vedi il caso-Sicilia. Le forze moderate sono state divise, lacerate. Eppure dopo centinaia, migliaia di prese di posizione, alla fine anche i diesse hanno dovuto optare per la candidatura di Rita Borsellino. E lo stesso, se vuoi, vale per la Val di Susa. E’ vero che nelle direzioni nazionali di molti dei partiti, c’è disattenzione, se non ostilità. Ma anche qui, sta per arrivare il momento in cui sarà difficile per loro rifiutare di avere un rapporto con un’intera comunità.

 Visto che ci siamo, visto che abbiamo parlato della Sicilia, vediamo anche cosa accade a Milano.

Dove credo che abbiamo fatto la scelta giusta. Sosteniamo Dario Fo, lo sosterremo alle primarie. Pronti comunque a sostenere, alle comunali, il candidato che risulterà più votato. Ma abbiamo deciso di votare ora Dario Fo per rendere visibile, anche simbolicamente, che preferiremmo un altro modo. Un altro modo di far politica. Dove l’opposizione non sia costretta a sostenere un Prefetto.

 Domanda brutale, brutale: questo è anche un po’ il metodo che Rifondazione ha in mente per la prossima esperienza di governo, che un po’ tutti pronosticano per il dopo elezioni?

Scusa ma ho da farti un’altra obiezione. La tua domanda prefigura una sorta di "attesa del governo" che ti assicuro non esiste. Certo, c’è anche quest’elemento, l’elemento del governo, del governo dall’alto di un paese che deve cambiare. Ma quel rapporto, quel rapporto stretto coi movimenti e coi conflitti sociali, è, deve diventare, la nostra pratica politica. Il nostro agire politico. Oggi, domani, dopodomani.

 Conflitti. Si possono ascrivere a questa voce le rivolte che stanno infiammando le banlieu parigine?

No, non mi pare.

 E sotto che voce le inseriresti?

Credo siano una spia, un’altra drammatica spia della crisi di civiltà che stiamo attraversando. Una spia, un’altra drammatica spia di quanto vasta e profonda sia la crisi della politica. Insomma, voglio dire che laddove la politica non arriva, laddove non è in grado di inserirsi o di proporre un conflitto con una controparte, ecco che trova spazio la ribellione distruttiva. Lo chiamo conflitto orizzontale: contro tutto e tutti.

 La soluzione?

Quelle prospettate, le misure repressive, sarebbero sbagliate, sbagliatissime. Oltre che inefficaci. Perché anzi, darebbero a quella ribellione prepolitica, un obiettivo sul quale catalizzarsi, concentrarsi. Esattamente come avviene negli stadi, dove tante curve urlano solo il proprio disagio, il proprio malessere. Lo urlano a tutti, contro tutti. Salvo poi concentrasi contro qualcuno, quando questo si manifesta. No, purtroppo, anche se più lenta e difficile, non c’è alternativa al ritorno in campo della politica. L’unica in grado di fronteggiare il tuo "competitore".

 Scusa a chi ti riferisci?

Lì, nelle banlieu parigine, al fondamentalismo. Perché l’arrivo di concezioni filosfiche e religiose sul terreno secolare, sul terreno della secolarizzazione, ti racconta solo del deficit di politica. Lì, una concezione religiosa e trascendente non dà, non può dare risposte sul quotidiano, sull’agire. Ma ti regala un’identità. La stessa che la politica, questa politica così pigra, non è in grado di disegnare.

 Parli di politica ma in realtà stai parlando della sinistra. Non è così?

Sì. Della sinistra, e diro di più: della sinistra radicale, della sinistra anticapitalista. L’unica credo che voglia e possa diventare un’interlocutrice di chiunque si trovi fuori dai processi di accumulazione. L’unica che può e deve presentarsi nelle banlieu.

 In che forma?

Il punto è proprio questo: il ritorno della politica deve avvenire con forme da reinventare. Con loro. Siano i ragazzi delle banlieu siano i disperarti italiani dei call center. Non farlo, significherebbe non aver capito cosa sta avvenendo attorno a noi. La crisi di civiltà non è lontana. Ne parla lo tsunami, ne parla la tragedia di Katrina a New Orleans. Ne parlano le banlieu incendiate.

http://www.liberazione.it/giornale/051106/LB12D70D.asp