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Il decoder del Cavaliere

Publie le mercoledì 15 febbraio 2006 par Open-Publishing

Dazibao Giustizia Governi

ANTONIO Catricalà, esimio giurista e presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, ce l’ha messa tutta per evitarlo. Ma, alla fine, in articulo mortis del governo Berlusconi, dovrà ben emettere l’ardua sentenza: andare a far pipì assolve o non assolve dal conflitto d’interessi?

Cioè, un ministro o addirittura un presidente del Consiglio che, per improrogabili necessità, si assentino momentaneamente dal tavolo a ferro di cavallo intorno al quale a Palazzo Chigi si riunisce il governo per discutere provvedimenti che abbiano incidenza sul loro patrimonio, "su quello del coniuge o dei parenti entro il secondo grado, ovvero delle imprese o società da essi controllate, casca o non casca nel conflitto previsto dalla legge 20 luglio 2004, numero 215?".

Oggi, suo malgrado, l’Autorità ha sul tavolo tre casi rognosetti: Berlusconi-decoder, Berlusconi-Tfr-Mediolanum e Lunardi - Rocksoil. La pipì fu evocata per la prima volta quando il Consiglio dei ministri discusse la legge Maroni sul Tfr, il Trattamento di fine rapporto dei lavoratori. Il fatto che la legge sposta 14 miliardi di euro o giù di lì verso le assicurazioni e quindi in misura alquanto rilevante verso Mediolanum, società di Ennio Doris e della famiglia Berlusconi, consigliò al premier di assentarsi momentaneamente, invocando le dette questioni. In precedenti occasioni, prima della legge Frattini sul conflitto, che doveva arrivare in 100 giorni ma ce ne mise mille, il presidente qualche volta in casi del genere, aveva preferito ritirarsi con Gianni Letta nella Sala Azzurra a sorbire un tè.

Ma, a dispetto delle quantità di miliardi in gioco, la rogna che oggi Catricalà si trova per le mani non nasce tanto dal Tfr e da Mediolanum, ma dai decoder di Paolo Berlusconi, fratello del premier. Ai primi di novembre un gruppo di senatori del centrosinistra capeggiati da Luigi Zanda, ex consigliere d’amministrazione della Rai, presenta un’interrogazione al ministro delle Comunicazioni per sapere se sia commendevole che una società del fratello del presidente del Consiglio, la Solari. com srl, venda i decoder che i cittadini sardi e valdostani sono obbligati ad acquistare, con contributi di denaro pubblico stanziato dal governo, per poter vedere qualunque trasmissione, con la definitiva transizione in quelle due regioni dal sistema televisivo analogico a quello digitale terrestre, previsto dalla legge Gasparri, insuperabile monumento al conflitto d’interessi, simile al mausoleo costruito da Cascella nel parco berlusconiano di Arcore. Come spesso capita, i senatori interroganti nessuno se li fila. Ma stavolta non demordono.

Segnalano la cosa all’Authority di Catricalà, il quale se la cava con una letterina a Zanda firmata dal Segretario generale Fabio Cintioli, nella quale si sostiene che, essendo stato presentato il maxiemendamento alla finanziaria contenente il finanziamento per i decoder "dal ministro dell’Economia e delle Finanze sen. Giulio Tremonti, senza alcuna valutazione del Consiglio dei ministri", cioè in assenza di Berlusconi, l’Autorità non può intervenire. Ma come? Non solo la finanziaria è la legge più importante di ogni governo e, a meno di non voler pensare che il governo italiano sia acefalo, si deve ritenere che Berlusconi abbia partecipato all’elaborazione della legge. Per di più, quel maxiemendamento, che prevedeva lo stanziamento di 10 milioni per il decoder, è stato approvato con voto di fiducia. E notoriamente il voto di fiducia può essere richiesto al Parlamento solo previa decisione del Consiglio dei ministri.

È tecnicamente impossibile che il presidente del Consiglio non lo sappia. D’altra parte, è lo stesso Berlusconi, che spesso dice qualche parola di troppo, a "confessare" inconsapevolmente: "Non ero assolutamente al corrente di questo fatto diciamo tra virgolette familiare". E subito dopo aggiunge: "Io ho ridotto lo stanziamento da trenta a dieci milioni di euro".

Ma come, se non sapeva? Così Catricalà, strappando la penna al suo Segretario generale, ha dovuto ritirare l’archiviazione e riaprire l’istruttoria decoder, che oggi è sul tavolo dell’Autorità, dove il presidente è affiancato, tra gli altri, da due commissari particolarmente autorevoli, l’ex sindaco forzista di Bologna, Giorgio Guazzaloca, e Antonio Pilati, dato dai più come l’autore materiale della legge Gasparri, l’ineguagliabile monumento cascelliano al conflitto d’interessi.

Ironia della sorte, mentre il paludato consesso sarà riunito a delibare sulle assenze strategiche e sulle loro motivazioni, il governatore della Sardegna Renato Soru, anche lui accusato di qualche conflitto d’interesse, annuncerà ufficialmente il rinvio dello spegnimento del segnale televisivo analogico previsto in Sardegna e in Val d’Aosta per il 16 marzo, per avviare la sperimentazione del digitale terrestre.

Se sui decoder di suo fratello, che ha già dichiarato di aver abbandonato il business salvo l’esaurimento delle scorte degli oggetti, il premier ha pasticciato un po’, sul Tfr destinato alle "forme pensionistiche complementari", che farà ancora più ricco lui e il suo socio Ennio Doris, è stato attento a lasciare il tavolo del Consiglio dei ministri. Ma qui è il punto. Catricalà e i suoi commissari dovranno decidere - e non li invidiamo - se la pausa lo mette o no al riparo da un’istruttoria per violazione delle norme sul conflitto, avendo il suo governo legiferato ancora una volta in un settore nel quale egli ha interessi economici e patrimoniali di "preminente rilevanza".

Quanto alle gallerie del ministro Lunardi, anch’esse lì oggi a turbare i sonni dell’Antitrust, dubitiamo che egli sia corso ai servizi durante le riunioni del Cipe o le riunioni per le delibere che hanno affidato alla Rocksoil, trasferita ai figli Martina, Giovanna e Giuseppe, e alla galassia di società collegate censite certosinamente dal senatore Paolo Brutti, progettazioni e lavori che le hanno portate a controllare il 70 per cento del mercato dei servizi d’ingegneria per le opere sotterranee. E anche se l’avesse fatto, la sostanza non cambierebbe.

Poca roba, in fondo, il business della famiglia Lunardi, se si pensa che la fortuna del premier da quando è "sceso in politica" si è moltiplicata più di tre volte, da tre a dieci miliardi di euro. Ma che volete? La nostra legge sul conflitto d’interessi, un capolavoro che ha richiesto mille giorni di gestazione, esclude "in radice" ogni possibilità d’intervento in caso di assenza del titolare di cariche di governo "all’adozione di un atto". Anche per pausa pipì.

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