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L’espropriazione capitalista

Publie le lunedì 4 settembre 2006 par Open-Publishing
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Governi Analisi Michele Bono

di Michele Bono

Si è scritto e detto così tanto sull’ on. Silvio Berlusconi che il correttore grammaticale di Word riconosce la parola -a differenza di tutti gli altri cognomi del mondo- e non la sottolinea. Gli epiteti con i quali illustri scrittori, comici, politici, amici, imprenditori, giornalisti e capi di stato hanno provato a fissarne l’eclettica personalità o la vita travagliata confluiscono in un elenco terminologico sconfinato, da guinnes dei primati. Lui stesso si è definito. Lo stato italiano ha fatto il resto.

Onorevole appunto, poi cavaliere, presidente, primo ministro, ex-primo ministro, ministro degli esteri ad interim, leader (non maximo, però, per carità...), braccio destro di Craxi, unto del signore, multimiliardario, imprenditore, compositore, cantante, pianista, tifoso, operaio, nano, esportatore di democrazia, pelato, ex-pelato, basso, alto, traditore, tradito, perseguitato, spergiuro sui propri figli, buono, mitico, unico, liberale, liberticida, carismatico, monopolizzatore, megalomane, eccentrico, centrista, uomo della provvidenza, anti-comunista, magnate, figlio del popolo, generoso, simpatico, versatile e onnipresente. Manca solo santo, ma ancora è troppo presto.

Non solo non è facile scrivere di Berlusconi, non lo è nemmeno pensarlo, quasi come lo spirito assoluto di Hegel od il noumeno kantiano, concetti complessi, sfuggenti e, soprattutto, soggetti alle interpretazioni più disparate e contrastanti. A confronto il marxismo ha la difficoltà ermeneutica di una barzelletta, forse di un fuorigioco.

Zeffirelli lo ha paragonato, per stile e magnificenza, a Luigi XIV; l’illustre redento Sandro Bondi addirittura a Gesù Cristo, il solo sguardo del quale gli è stato sufficiente per comprendere la gravità della sua posizione, peccatore della specie più abietta: un cannibale pedofilo, colui che mangia i bambini. Nella mia insulsa piccolezza mi permetterò solamente di soffermarmi sul particolare che ha ispirato le mie riflessioni e sull’evanescente, strumentalizzato falso-problema del conflitto d’interessi.

MEGALOMANE. Tra tutti gli appellativi scelgo questo.
In un tiepido agosto romano, tramortito psicologicamente dalla fine delle vacanze, leggevo tranquillamente La Repubblica, giornale ormai schieratissimo ed inattendibile, biasimevole pamphlet divulgativo del regime neo-comunista. Nella noia della staticità giornalistica estiva mi facevo prendere da un bizzarro articolo che riportava le ultime gesta di Silvio Magno: l’istallazione di un vulcano all’interno della sua regia di Villa Certosa, Sardegna.

In onore di una bellissima e sfarzosa festa in cui Briatore e velina, Apicella e chitarra figuravano come splendidi suppellettili della generosità incantatrice del Magnifico (non me ne vogliano, cortesemente, tutti i rettori d’Italia), Berlusconi ha inaugurato il suo nuovo gioiello: un vulcano vero con tanto di eruzione e lava, nonché allarme, visto che al momento dell’esplosione decine di vicini del cavaliere si sono riversati nelle strade per paura di essere le vittime pietrificate di una nuova Pompei.

Ho immaginato lo stupore e la commozione dei presenti, le congratulazioni, le compiaciute pacche sulle spalle del burlone. Ho immaginato le ire dei camerieri, che in qualche modo, a tarda notte, avranno pur dovuto pulire, no? Ho immaginato i sorrisi, gli applausi, il tintinnio dei bicchieri di champagne all’ennesimo brindisi, il chiacchierio, le bellezze paradisiache, i ballerini, la gioia, la spensieratezza. Ho immaginato tutto, veramente, ma non sono riuscito ad intuire -in senso strettamente filosofico- la sinapsi geniale che ha condotto il cavaliere ad un’invenzione di tale portata. Non ce l’ho fatta.

Forse è stata un’ulteriore epifania divina, forse il suggerimento di un amico scenografo, forse semplicemente l’inarrivabile grandezza di un uomo di potere che continuamente lotta con se stesso e con i suoi pari per affermarsi in modo sempre più netto. Forse. Questo è l’ennesimo futile dubbio con cui un personaggio storico ci lascerà. Perché Berlusconi -e questo è palese- almeno nella storia del nostro popolo, purtroppo, c’è entrato.

Parte da qui la remota connessione con il conflitto d’interessi che in questi giorni è diventato per il centro-sinistra una gigante patata bollente. Parte dal potere, dall’influenza economica e politica che ha permesso ad un uomo che ha il coraggio di definirsi l’unto del signore di governare il nostro paese per cinque interminabili anni, fiaccandolo con scelte personalistiche, gaffes internazionali rinomatissime e compromessi mafiosi.

Mi vergogno di aver votato politici che hanno imperniato una campagna elettorale asfissiante sul problema del conflitto di interessi berlusconiano -arrivando perfino ad auto-condannarsi per non averlo risolto prima del 2001- e che ora cercano di trovare i famigerati toni moderati per non urtare l’entourage cavalleresco del cavaliere, ovviamente su tutte le furie.

Resto allibito nell’osservare l’Italia che crolla sotto i colpi dell’inettitudine dirigenziale; un paese in cui si permette tutto a tutti, dal più misero evasore fiscale al più potente imprenditore. Il bel-paese, spaghetti-mandolino-pizza funghi, in cui un indignato Confalonieri può rilasciare un’intervista in cui agita lo spauracchio di un’ ESPROPRIAZIONE CAPITALISTICA di cui non sa nulla. “Povero Marx” penso, “guarda un po’ chi deve citarti ai giorni nostri...”

L’intera maggioranza sta ripetendo da giorni che la risoluzione del conflitto d’interessi non riguarda solo Berlusconi, bensì deve riguardare tutti gli italiani. Ma chi sono questi tutti? E soprattutto, come la pensano?

Facile. I tutti in realtà non sono tutti, bensì pochissimi e sono quei facoltosi politici che otterrebbero vantaggi economici personali considerevoli dal semplice esercizio della propria carica istituzionale. Ovviamente la punta dell’iceberg è Silvio, poi vengono i minori, molti dei quali militano tra le fila della Cdl. Ma gli altri? Chiaramente appartengono all’armata Brancaleone prodiana ed altrettanto chiaramente non hanno alcuna intenzione di auto-castrarsi per indebolire Berlusconi, che in fondo è un amico, un simpaticone, un uomo di vita, suvvia..

Mi sento umiliato. Profondamente disgustato da una politica ormai sempre più palesemente ipocrita, che si rivolge agli elettori solo al momento del voto, per poi scordarsene. Una politica fatta da e per inetti, gente che predica demagogicamente tutto e il contrario di tutto, che si appella sempre al buon senso che non ha, alle proprie piccole vittorie e agli insuccessi dell’avversario.

La sinistra in questi ultimi anni si è impegnata moltissimo per essere una buona destra. Guerre in ogni parte del mondo, tagli al welfare, appoggio alle grandi multinazionali, imbarbarimento culturale e riabilitazione ideologica dell’avversario politico. Credo sia troppo.

Dire che Berlusconi non va punito significa adottare un registro linguistico da ignavi, compiere gli stessi devastanti errori del passato, continuare a fare i propri porci comodi. Il nano -come lo chiamano i più grandi comici italiani- è un autentico attentato vivente alla democrazia, da sempre fondata sul principio della inevitabile disgiunzione del potere politico da quello economico.

Il mondo, però, gira alla rovescia. I kamikaze che si fanno esplodere sono codardi ed i piloti che bombardano da 10.000 metri coraggiosi; la pace va conquistata con la guerra; l’industria farmaceutica è alla disperata ricerca di malati, non di vaccini; i partiti di estrema sinistra italiani lottano contro la precarizzazione del lavoro e tirano avanti con lo sfruttamento sistematico di giovani illusi e non pagati.

Silvio non merita una punizione e noi non ci meritiamo lui. Vivo ancora nell’illusione che una politica seria possa spazzare via personaggi del genere, ma poi apro il libro di storia e trovo il suo sorriso tra le ultime pagine. Sfoglio a ritroso e c’è anche Andreotti. Perfino Craxi. Tutti riabilitati.

Espropriazione capitalista, dice Confalonieri. Magari ha ragione...

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