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La nafta avanza nel Mediterraneo

Publie le mercoledì 9 agosto 2006 par Open-Publishing

Dazibao Guerre-Conflitti Catastrofe Ambiente medio-oriente

di Manlio Dinucci

La marea nera provocata dal bombardamento israeliano della centrale termoelettrica di Jiyyeh (30 km a sud di Beirut), il 13-15 luglio, si sta diffondendo sempre più nel Mediterraneo. Dai serbatoi in fiamme è fuoriuscita una quantità di nafta (del tipo Ifo-150) che potrebbe aver raggiunto le 35mila tonnellate. A causa dei venti che soffiano da sud-ovest e delle correnti marine, la marea nera si è estesa in direzione nord-est ricoprendo oltre 80 km di coste libanesi, rocciose e sabbiose, dove si concentrano le attività della pesca e del turismo.

I danni ambientali sono molto maggiori di quelli visibili: trasformandosi in catrame, gran parte della massa oleosa si depositerà sul fondo del mare danneggiando gravemente gli organismi vegetali e animali delle acque costiere, le più ricche di vita. Continuando a estendersi, la marea nera è arrivata il 3 agosto sulle coste siriane, contaminandone oltre 7 km. Da qui potrebbe raggiungere Cipro, Turchia e Grecia.

Ciò conferma l’allarme lanciato da Achim Steiner, sottosegretario generale dell’Onu e direttore esecutivo dell’Unep (v. il manifesto, 3 agosto): «È una tragedia ambientale che sta rapidamente assumendo una dimensione non solo nazionale ma regionale». Su richiesta del governo libanese, oltre al Programma delle Nazioni unite per l’ambiente si è immediatamente attivato il Rempec (Centro di risposta d’emergenza per l’inquinamento marino regionale per il Mediterraneo) con sede a Malta. Esso ha formato un gruppo di esperti, che ha redatto un piano d’intervento per arginare l’impatto ambientale della marea nera e affrontare successivamente i danni a lungo termine. L’Unione europea si è dichiarata disponibile, insieme ad altri paesi, a fornire uomini e mezzi per un’operazione di bonifica il cui costo viene stimato in almeno 50 milioni di dollari. C’è però un problema: non è possibile alcun intervento perché la marina militare israeliana impedisce l’accesso alla zona e l’aviazione continua a bombardare.

Tutto questo viene ignorato dall’opinione pubblica. I giornali e telegiornali, che mettono sempre in prima pagina la notizia di qualsiasi fuoriuscita di greggio da una petroliera e seguono l’evento giorno per giorno, hanno praticamente ignorato, dal 13 luglio ad oggi, che si sta diffondendo nel Mediterraneo una marea nera delle dimensioni di quella provocata nel 1989 in Alaska dalla petroliera Exxon Valdez.

Lo ignorano anche organizzazioni ecologiste come il Wwf. Lo ignora il ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, Alfonso Pecoraro Scanio, che, inaugurando il 4 agosto Festambiente in Maremma, è intervenuto sul tema «il Mediterraneo nelle reti: impegno delle istituzioni e comunità per un futuro sostenibile». Di ben altre reti si dovrebbe occupare: quelle del silenzio imposto da ragioni di stato. Prendere pubblicamente atto della tragedia ambientale che sta avvenendo nel Mediterraneo, significherebbe per il governo italiano denunciare il responsabile: il governo israeliano, che prima ha dato ordine di bombardare i depositi libanesi di nafta e poi ha impedito ogni intervento così che il danno ambientale si aggravi e diventi irreversibile. Significherebbe denunciare il fatto che Israele ha stracciato la Convenzione di Barcellona, che ha sottoscritto e ratificato, sulla protezione dell’ambiente marino e della regione costiera del Mediterraneo.

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