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La rivoluzione dolce di Vendola

Publie le domenica 10 aprile 2005 par Open-Publishing

Dazibao Elezioni-Eletti Partito della Rifondazione Comunista Parigi

Il giorno dopo la conquista della Regione Puglia incontro con il neo presidente che ci racconta come vuole governare

di Stefano Bocconetti Bari

C’è l’inviato del grande giornale nazionale. C’è anche un suo collega, di una testata altrettanto importante. Che però è arrivato solo al momento del caffè, a pranzo finito. E ora si guarda attorno, un po’ curioso, un po’ "stranito", cercando di capire se si è detto qualcosa di rilevante in sua assenza. E poi c’è il compagno di Terlizzi, c’è il fratello, c’è il nipote, che non sembra amare le luci della ribalta: lo abbraccia come si può fare solo fra due persone che si vogliono bene davvero e poi se ne va, in un’altra stanza. Poi c’è Vito, che si è preso l’aspettativa dal lavoro per seguirlo passo passo nel suo girovagare per la Puglia, e c’è Patti, che con molta autoironia comincia a recitare il ruolo di sorella del Presidente. E poi c’è il telefono. Un incubo per chi è ospite.

Ma Nichi risponde con molto garbo a tutti, al suo professore d’università, come "al compagno" costretto su una sedia a rotelle che non ha fatto in tempo ieri sera ad abbracciarlo. Naturalmente ci sono anche il papà e la mamma. Perché siamo a casa di "Fr. Vendola", come c’è scritto fuori dalla porta. Dove "Fr" sta per Francesco, il papà. E’ una palazzina, né bella, né brutta a Terlizzi, trenta chilometri da Bari. Sindaco di centrosinistra, quasi il 70 per cento di voti a Vendola stavolta.

Il neo presidente della Regione ha scelto di stare a casa dei genitori, oggi. Chi vuole, lo deve raggiungere qui. Cercava una giornata di pausa, lontano dalle grida. Ma non può, ormai è il simbolo di una giornata elettorale che ha ridisegnato l’Italia. E allora la giornata di "pausa" diventa l’ennesima giornata di discussioni. Neanche a farlo apposta, in tv c’è D’Alema. Sta dicendo che la Puglia è stata la Regione più difficile da conquistare perchè c’era il candidato "più difficile". Allora, Nichi, perché hai vinto? Sta per rispondere, poi si accorge che il collega - quello di una delle più importanti testate nazionali - sta parlando con la madre. Lei sta raccontando di quando Vendola vinse le primarie e le telefonò dicendole: «Ho paura». E’ una frase che è stata già ampiamente citata sui giornali locali, e in fondo ha giovato al neo presidente, disegnandolo ancora più umano, ancora più lontano da quell’immagine di tecnocrate che il suo rivale Fitto aveva scelto per questa campagna elettorale. Senza contare che Vendola si "fida" di quel collega. Così ricomincia a parlare.

«Qui in Puglia abbiamo provato una vera e propria rivoluzione lessicale. Che ha pagato, abbiamo vinto». Stai parlando dell’inversione delle priorità fra programmi e formule politiche? Stai parlando di questa innovazione (che comunque, va detto, è abusata esattamente come il resto del linguaggio del ceto politico)? Nichi non risponde, forse per non essere scortese. Anche aiutandosi con le mani, prova a far capire che il suo ragionamento precede questi tentativi di definizione. Prova a spiegare che anche in questa campagna elettorale, ha, hanno provato a ridisegnare la politica. «Potrei dirvi che abbiamo provato a metterci in connessione sentimentale con le persone, che abbiamo provato a legare tutto questo ad un racconto. Se volete è l’idea di egemonia gramsciana».

Parla di persone, di singoli, di storie prima individuali e poi collettive. «Voi non ci crederete perché ho trovato difficoltà a farmi capire anche nel mio partito. Ma io sono rimasto affascinato da quel fenomeno che è stato il "tatarellismo". Quando Pinuccio Tatarella è morto sono voluto andare di persona a conoscere i suoi amici, i suoi parenti, chi lo conosceva. Per capire come sia stato possibile che un uomo che non era di Bari avesse inventato un linguaggio, un modo d’essere, come avesse imposto la baresità nel dibattito politico». Nichi racconta. Come solo un poeta sa fare, dandoti due particolari che ti disegnano esattamente la cornice. E racconta di come il "tatarellismo" fosse fatto di attenzione alle persone. «Lui li chiamava per nome. E per chi si sentiva chiamato, quel gesto era tanto, era tutto. Per persone che non erano nulla, che erano strette, annientate da una macchina burocratica, sentirsi chiamare voleva dire esistere». E forse anche per questo ha vinto Vendola. «Sì, ci siamo rivolti alle persone. C’era una diffusa rivolta contro l’autoritarismo. E noi siamo entrati in sintonìa con questo sentimento. Le persone non ci chiedevano solo: fate questo e quest’altro. Ci dicevano soprattutto: ascoltateci. Noi l’abbiamo fatto. E lo faremo per i prossimi cinque anni dalla Regione».

Persone, dunque. Squilla il telefono. Stavolta è la Telecom che fa un’offerta speciale. Il padre cerca la copia di Liberazione, con la foto del figlio. Qualcuno se l’è portata via. Qualcuno, ormai la stanza è identica al comitato elettorale, non ci si entra più, c’è anche una troupe televisiva, gli fa notare che Nichi campeggia su tutti i giornali, anche quelli esteri. Lui vuole Liberazione, è il suo giornale: li conserva tutti. Si ritorna a parlare seduti attorno al tavolo da cucina, ormai sparecchiato. L’atmosfera è cambiata e ora le domande sono - come dire? - più "contingenti", guardano alla politica raccontata dai titoli sui giornali. Una domanda è immancabile: in Puglia ha vinto un "radicale", che cambia nel dibattito a sinistra? E’ questa l’unica volta che Vendola dà segni di insofferenza. «Parliamoci chiaro: volete sapere quanto, come e se, crescerà il potere di interdizione di Rifondazione nella coalizione? E’ un tema che appassiona qualche commentatore modesto. Vi posso assicurare che a nessuno, nel mio partito, interessa la questione. A nessuno». Sgombrato il campo dagli equivoci, anche le domande diventano più serene. E si riformula. La vittoria di Vendola, la tua vittoria, ha dimostrato che non esiste più l’equazione: contro la destra si vince solo se si è moderati. Non è così? «Prima parlavo di rivoluzione del lessico. E ne ha bisogno anche la coalizione, mamma mia quanto ne ha bisogno. Perché radicalità e moderazione sono concetti astratti, formulati tempo fa e che oggi significano poco e nulla. Concetti che vanno riformulati rispetto alle condizioni reali che abbiamo di fronte». Concetti che vanno ripensati, cominciando a dire come e quanto un candidato, per esempio, è legato - radicalmente o meno - al suo territorio, alle battaglie che lì si svolgono. Quanto è legato ai sentimenti, alla "pancia" di quelle persone. La sua radicalità, la radicalità di Vendola è nel progetto. Nel progetto di una Puglia, che pure è stata devastata da decenni di governi di destra e da cinque anni di Fitto, nel progetto di una Puglia che non si limita a risanare i guasti. Ma pensa in grande. «Vogliamo provare a riproporre l’idea di una nuova, grande civiltà mediterranea. Che ripensi la cultura, i suoi legami economici, che ripensi ed operi per una nuova stagione di pace». Astrazione? Nelle parole di Vendola sono fatti, impegni concreti. Vorrebbe che ogni regione meridionale si dotasse di un assessorato al Mediterraneo e che tutti insieme questi assessorati disegnassero una sorta di ministero. E che qui, in questo spazio si provassero a mettere in rete, a mettere in connessione le esperienze di Bari, Napoli, Caserta, magari fra un po’ anche Palermo. «La radicalità è cogliere le sfide dei tempi che cambiano, la moderazione è dare risposte banali ai problemi». Il primo: come collegare il locale al globale, senza farsi schiacciare.

Vendola progetta. La sua Puglia che avrà subito una nuova rete di musei. Poi torna indietro, sollecitato da altre domande, torna alla campagna elettorale. Arriva il caffè, è già zuccherato come si usa da queste parti. «La cosa più brutta di questa campagna elettorale? Dobbiamo davvero parlarne?». Sì. «Beh... Direi il primo confronto con Fitto in tv. Era una tv locale. Mi chiesero se ero disponibile ad andare a casa dell’allora Governatore. In cambio, chissà perché mi aspettavo un atteggiamento di lealtà: non è stato così. Una trappola dopo l’altra... Ma ormai che importanza ha?». E la cosa più bella? «La piazza di Lecce. Ragazzi, ragazze, anziani, operai. Mi hanno detto che erano trent’anni che non c’era una piazza così piena. Mi resterà per sempre».

Arriva la telefonata dalla redazione di "gay. it". E’ una sorta di intervista-conversazione telefonica. Qualcuno all’altro capo del telefono sembra rimproverare Vendola per le parole, pacate e non banali, che ha usato per definire il pontificato di Wojtyla. «Ci sono aspetti, penso per esempio a ciò che ha detto sulla morale sessuale, che non condivido. Ma non mi pare, non mi pare davvero, che quella sia stata la cifra di un ventisettennale papato. Ho molto rispetto per una figura che ha davvero cambiato il mondo». L’intervista dura un po’. E ogni volta è dura ricominciare. Chi hai sentito più lontano nella campagna elettorale? «Ho sentito tutti vicino. E non lo dico oggi. Ho visto i compagni dei diesse, gli amici della Margherita lavorare pancia a terra per farmi vincere». E più vicino? «Tutti». Ma se ne dovessi indicare uno? «Prodi. Le sue telefonate sono state decisive in momenti difficili». Ora il ritmo delle domande si fa televisivo. Hai mai avuto paura di non farcela? «Sì». Quando hai capito di avercela fatta? «Quando ho visto i dati di Bari città. La Provincia no, lo avvertivamo che era con noi. In città è stato tutto più difficile». Ma alla fine anche la città ha scelto di essere governata dal poeta, dal comunista, dal radicale. O semplicemente da chi è capace di ascoltarla.

http://www.liberazione.it/giornale/050406/R_STEFA.asp