Home > Ottavo giorno di blocco totale dei trasporti a Managua

Ottavo giorno di blocco totale dei trasporti a Managua

Publie le martedì 14 febbraio 2006 par Open-Publishing

Dazibao Scioperi America Latina Giorgio Trucchi

Prezzo del combustibile: Potere di mercato e margini monopolici nel mercato degli idrocarburi

Lo strapotere delle multinazionali

di Giorgio Trucchi

A Managua, dove si concentra un terzo della popolazione del Nicaragua, lo sciopero delle cooperative che gestiscono il sistema dei trasporti "pubblici" (autobus), è arrivato al suo ottavo giorno.

Nel momento in cui si sta redigendo questo articolo, le parti coinvolte nel conflitto non hanno ancora trovato un punto d’intesa che ponga fine a una situazione che sta colpendo soprattutto i settori più poveri della popolazione (sono circa 850 mila le persone che ogni giorno si muovono per Managua in autobus).

Governo, Amministrazione comunale di Managua, esponenti dei vari gruppi parlamentari e settore Trasporti si sono riuniti più volte negli ultimi tre giorni, mentre migliaia di persone continuavano a percorrere lunghi tragitti a piedi o utilizzando, a rischio della propria incolumità, vecchie camionetas piene fino all’inverosimile, che stanno facendo pagare il doppio della tariffa.

Il Governo si è opposto in modo risoluto a concedere un nuovo sussidio alle cooperative di trasporto pubblico, una delle corporazioni più discusse e inaffidabili del paese, mentre il Sindaco di Managua, Dionisio "Nicho" Marenco, ha lanciato la proposta di aumentare del 5 per cento il costo della benzina per i privati.

Con questi fondi si sussidierebbe il settore Trasporti, in attesa di una riforma del settore stesso, che dovrebbe prevedere una differenziazione delle tariffe in base al tipo di autobus e la relativa immissione di unità di trasporto nuove o seminuove, in sostituzione degli autobus fatiscenti che hanno più di 25 anni.

Contro questa misura, che colpirebbe in ogni caso la popolazione attraverso il probabile aumento della catena di costi dei beni di prima necessità, si sono schierati alcuni deputati e gran parte degli organismi di difesa dei consumatori, mentre sembra trovare l’approvazione del Governo e dei principali partiti.

Le organizzazioni che riuniscono le varie cooperative di Trasporto, intanto, continuano a manifestare nelle strade, con scontri sporadici con la Polizia e mantenendo la richiesta di un sussidio plurimilionario o l’aumento della tariffa.

Per il momento, nessuno ha ancora avuto l’interesse o il coraggio di parlare della catena dei costi degli idrocarburi, che evidenzia come le grandi compagnie multinazionali presenti in Nicaragua stiano guadagnando in modo spropositato grazie agli aumenti dei prezzi internazionali del petrolio, ma soprattutto, grazie al grande margine di beneficio che godono in paesi come il Nicaragua.

Su questo punto si è espresso l’economista indipendente Adolfo Acevedo Vogl, toccando il nodo cruciale di questa materia e rimanendo, per il momento, una lucida voce nel deserto.

"In Nicaragua, si attribuisce all’aumento dei prezzi del petrolio sul mercato mondiale tutto il peso per spiegare il comportamento dei prezzi interni dei combustibili.
L’evoluzione dei prezzi interni dei combustibili, a sua volta, si usa per giustificare il rialzo nelle tariffe del trasporto.

Si dimentica che il prezzo interno dei combustibili non include solo il costo dell’importazione del petrolio ed i suoi derivati, ma anche il Margine di Beneficio che aggiungono a detto costo le imprese della catena importazione-raffinazione-trasporto, immagazzinamento e stazioni di servizio.

In un mercato dominato da alcune grandi imprese, principalmente multinazionali, le quali controllano la maggior parte di questa concatena (chiamata "integrazione verticale"), queste ultime possiedono un potere di mercato che permette loro di stabilire margini di beneficio eccessivamente alti.

Il Nicaragua si caratterizza per concedere i maggiori margini di beneficio accumulato sul combustibile in tutta la regione.

Nel 2005, il margine accumulato in Nicaragua, che si aggiunge al costo dei combustibili, è stato del 52 per cento, mentre è stato del 26 per cento a Panama, del 32 per cento in Honduras e del 30 per cento in Salvador.

Allo stesso modo, le imprese dominanti che controllano il "mercato degli idrocarburi" in Nicaragua, hanno aumentato i margini di beneficio che applicano.

Così, mentre il margine accumulato sui combustibili era del 38 per cento nel 1999, si è spostato al 43 per cento nel 2002, passando al 48 per cento nel 2004 e raggiungendo il 52 per cento nel 2005.

Per il resto, il rappresentante di un organismo internazionale con accesso a informazioni interne del Fisco, ci ha confidato che le grandi imprese che dominano il mercato degli idrocarburi, mostrano una contribuzione ridicola al Fisco in termini di pagamento delle imposte.

Mentre altri paesi della regione controllano il prezzo del combustibile (e pertanto controllano i margini di beneficio), per il carattere sensibile che ha come "prezzo chiave" dell’economia - che influisce in maniera generalizzata su tutta la catena di costi e prezzi -, in Nicaragua, al contrario, quando si discutono le opzioni di politica esistenti per affrontare il rialzo internazionale del petrolio ed il suo impatto sui costi dell’energia e dei trasporti, le autorità tessono le lodi del "libero mercato" e si oppongono a considerare la possibilità di regolare i prezzi e i margini in questo "mercato".

Perfino nel Senato nordamericano si sta indagando sugli esagerati benefici che stanno ottenendo le grandi compagnie petrolifere e si sta considerando una regolarizzazione dei prezzi, perché l’evidenza indica che queste corporazioni stanno sfruttando l’attuale congiuntura per guadagnare ancora di più.

Qualsiasi economista sa che in teoria, il "libero mercato" può essere qualificato come un meccanismo efficiente di regolazione unicamente quanto esiste "concorrenza perfetta", cioè in quelle condizioni in cui non esiste concentrazione del potere di mercato in alcune imprese.

Quando il mercato reale è dominato solo da poche grandi imprese e si allontana totalmente dal mercato di "concorrenza perfetta" riportato dai libri di testo, quello che otteniamo, invece di efficienza, sono grandi imprese che approfittano del loro potere di mercato per sfruttare i consumatori ed altre imprese, caricando margini esagerati di guadagno.

Come si sa, la stessa cosa che succede con i margini sul combustibile, accade con i margini sulla generazione e distribuzione dell’energia elettrica.

Nella generazione di energia, oltre al fatto che le centrali generatrici termiche private furono costruite con l’enorme sussidio statale rappresentato dalla contrattazione di prestiti con il BID, esistono alcuni contratti di acquisto di energia che stabiliscono prezzi medi che, a detta degli specialisti, superano di quasi 3 volte il prezzo medio internazionale.

Questo riguarda alcune imprese, controllate nella maggior parte da due grandi gruppi economici di carattere monopolico, che in alcuni casi non solo si sono beneficiati di un costo di investimento sovvenzionato massicciamente dallo Stato, ma anche di prezzi di acquisto dell’energia generata, che implicano margini di beneficio davvero smisurati.

Anche nella distribuzione di energia, controllata monopolicamente, il margine è esagerato, mentre le perdite di energia, da quando l’impresa distributrice statale è stata privatizzata, si sono incrementati sensibilmente. Con un adeguato investimento per ridurre dette perdite, si faciliterebbe la riduzione delle tariffe in modo significativo.

Così, mentre si discute se alzare le tariffe del trasporto pubblico urbano e dell’energia elettrica, o concedere sussidi - a proposito di sussidi, mentre si segnala con rancore i 90 milioni di cordobas concessi come sussidio nel 2005, sembra che nessuno si ricordi dei 700 milioni concessi a Union Fenosa sempre nel 2005 per "compensarla" delle perdite subite per il non aumento delle tariffe -, nessuno osa menzionare il nome dell’Innominabile.

Politici, funzionari e deputati non osano nemmeno pensare opzioni che colpiscano non solo il Fisco, o la popolazione che per l’80 per cento sopravvive con meno di 2 dollari al giorno, ma che colpiscano anche gli interessi di questi potenti gruppi e imprese multinazionali.

Se parafrasiamo il detto popolare che "si può giocare con il santo, ma non con l’elemosina", possiamo dire che in Nicaragua si permette di giocare con la fortuna delle persone, ma non si può pensare di toccare nemmeno con un petalo di rosa gli interessi dei potenti".