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Programma dell’Unione: qualcosa di sinistra

Publie le domenica 12 febbraio 2006 par Open-Publishing

Elezioni-Eletti Partito della Rifondazione Comunista Parigi

Molti autorevoli media hanno lamentato, in questo periodo, il “ritardo” dell’Unione, quanto a programmi e proposte concrete. E molti altri hanno “denunciato” il rischio di una proposta patchwork, più o meno indefinita, più o meno ambigua, date le rilevanti differenze che c’erano - e ci sono - tra le forze che compongono la coalizione.

di Rina Gagliardi

Da stamattina, il programma c’è: ciascuno può giudicarlo con i suoi occhi e il suo cervello.

Ciascuno può riflettere, dubitare e interrogarsi, non più sulla base di voci o indiscrezioni, ma su un testo certo. Un documento ponderoso, ahimè, ma leggibile, oltre che in sintesi abbastanza agili (come l’“abecedario” che pubblichiamo nelle nostre pagine), nella sua fisionomia d’insieme.

Proprio da questo punto di vista, a noi pare un programma eccellente: ricco, ambizioso, impegnativo. Una piattaforma che non si limita a fuoruscire dalle cupezze dell’era berlusconiana, ma può avviare un nuovo ciclo riformatore. Una opzione d’insieme che non delude le speranze e le attese dell’elettorato più esigente. Diciamolo subito: se l’Unione sarà capace di mantenersi all’altezza di questi propositi e di rispettare gli impegni oggi solennemente assunti da Romano Prodi, per l’Italia potrà aprirsi una stagione diversa - e molto più avanzata di quella dell’Ulivo degli anni ’90.

C’è qualcosa di sinistra, in questo programma? Molto, e sulle questioni importanti, quelle che tracciano i discrimini sostanziali. C’è l’impegno al ritro immediato del contingente italiano dall’Iraq: senza alcuna ambiguità, solo con “i tempi tecnici necessari”. Una rivendicazione unitaria e unificante di tutto il movimento per la pace - oltre che di tutte le persone di buon senso. C’è l’affermazione della volontà di imprimere alla politica economica e sociale una svolta sostanziale: nel senso di una sostanziosa redistribuzione della ricchezza a favore dei salari, degli stipendi, del lavoro dipendente. Chi avrà la pazienza di analizzare le “voci” specifiche, potrà scoprire che si tratta di spostamenti molto rilevanti di risorse, nient’affatto di ordinaria routine. E potrà verificare sia il superamento di molti tabù - come quello dell’inflazione programmata - sia l’assunzione di impegni qualificanti - come la lotta alla precarietà.

C’è la conquista dell’elevamento dell’obbligo scolastico a sedici anni, in un biennio unitario sostanzialmente eguale per tutti i giovani dai 14 ai 16 anni, senza cioè alcuna “integrazione” con la formazione professionale o l’avviamento al lavoro: una riforma di struttura di carattere epocale, che accoglie le rivendicazioni più significative del movimento, chiude con le illusioni “moderniste” che un pezzo di sinistra ha coltivato (troppo) a lungo, sancisce una scelta strategica contro l’idea stessa della canalizzazione precoce. E c’è, non da ultimo, la cancellazione della Bossi-Fini, e il varo di una politica sull’immigrazone fondata sulla categoria della “accoglienza”.

Si poteva “ottenere” di più? Certo che sì. Un esempio su tutti: su un problema di civiltà così dirimente come i Pacs alla fine hanno prevalso, culturalmente e simbolicamente, il tradizionalismo cattolico e l’ideologia “matrimonialista” - anche se è stata proposta una estensione dei diritti concreti delle persone nient’affatto disprezzabile. E valga una considerazione d’insieme: manca una dichiarazione esplicita di rottura con l’impianto neoliberale e con le categorie relative. Così come non emerge, con la forza che sarebbe necessaria, la vocazione riformatrice dell’alleanza: un limite politico, prima che del documento, della soggettività dell’Unione e dei suoi partiti “portanti”. E tuttavia anche qui, anche in queste “lacune”, sono ben visibili gli spazi possibili, le contraddizioni aperte, le chances di nuove battaglie.

Tutto concorre, alla fin fine, a delineare un terreno di lavoro e di lotta politica assai favorevole per la sinistra, per le forze di cambiamento, per le stesse avanguardie. Appunto: il governo è una tappa necessaria, non l’approdo “finale” e risolutivo di un’opzione strategica alternativa - come pensano, quasi allo stesso modo, i fan dell’autonomia del politico e quelli dell’autonomia del sociale. E un buon programma di governo, come quello che l’Unione ha varato, costituisce soltanto una buona premessa per l’azione di domani - e una mobilitazione che non potrà, non dovrà mai dismettere la propria auotnomia. Potevamo davvero chiedere e ottenere tanto di più?

Liberazione