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Vladimir Ilic Ulianov - Oggi vogliamo ricordare quel giovane rivoluzionario russo...

Publie le giovedì 22 gennaio 2004 par Open-Publishing

Partiti Europa Storia Rina Gagliardi

di Rina Gagliardi

Oggi vogliamo ricordare quel giovane rivoluzionario russo, che rispondeva al nome di Vladimir Ilich Ulianov e che tutto il mondo conobbe sotto il nome di Lenin. Morì ottant’anni fa, in età ancor giovane, e nel pieno di una rivoluzione che muoveva ancora i suoi primi, durissimi passi. Il nostro non è un omaggio rituale. Ci muove, certo, il valore della memoria - che è un antidoto serio a quel culto dell’eterno presente che caratterizza la disperazione del capitalismo attuale. Ma ci muove, anche e soprattutto, la passione politica e il bisogno di ricerca. Ora che il XX secolo è davvero alle nostre spalle, ora che, forse, il tempo dei dogmi e degli ismi è definitivamente tramontato, siamo nelle condizioni per cercar di capire «ciò che è vivo e ciò che è morto» del nostro passato. Ciò che è attuale da ciò che si è rivelato caduco. Ciò che, in buona sostanza, resta essenziale: la prospettiva storica del comunismo.

Lenin è la figura, quasi più di ogni altra (insieme a Mao Ze Dong), che nel secolo scorso ha contribuito a rendere concreta la prospettiva di questa «scalata al cielo» che, nell’Ottobre del 1917, raggiunse il suo punto più alto: in questo senso, la sua lezione resta centrale, «inaggirabile». Con Lenin la politica - spesso definita come la semplice "arte del possibile", se non ridotta alla mera gestione dell’esistente - trascende i suoi limiti e scopre la sua dimensione alta, quella della rottura rivoluzionaria, quella dell’immissione nella storia della soggettività organizzata. Soprattutto, Lenin, al contrario dei suoi successori, è stato, in realtà, una figura profondamente antidottrinaria: pur in coerenza con una vocazione teorica molto rilevante (e "pesante") non ha mai esitato a entrare in conflitto con i paradigmi del marxismo del suo tempo, per portare avanti il suo progetto politico rivoluzionario. Quella «rivoluzione contro il Capitale» che entusiasmò il giovane Antonio Gramsci e offrì un punto di riferimento al proletariato di tutto il mondo, esausto dalla I guerra mondiale e dal «tradimento» della socialdemocrazia.

In questo senso, Slavoj Zizek, nel suo Tredici volte Lenin, ci offre una lettura dell’attualità di Lenin che appartiene a tutti i comunisti, leninisti o non leninisti: la rivoluzione deve avvenire due volte. «Ciò che infatti manca alla "prima rivoluzione", oltre al contenuto è la forma stessa, che resta imprigionata nella vecchia struttura, nell’illusione che libertà e giustizia possano realizzarsi semplicemente mettendo a punto gli apparati statali esistenti e i loro meccanismi democratici». Il rischio, altrimenti, è il paradosso di una rivoluzione senza rivoluzione. Di una ossificazione della teoria, e quindi di un suo progressivo isterilimento. Come è accaduto in Urss, dopo la morte di Vladimir Ilich: lo stalinismo non è stata soltanto una tragedia politica, ma anche uno scacco della teoria, con la nascita e il dominio dell’ortodossia del Diamat.

Nessuno può dire come sarebbe andata la storia dell’Urss con Lenin al suo posto di combattimento e di comando. Noi, piuttosto, ci sentiamo di dire che la parte migliore della sua eredità oggi la vediamo vivere nei grandi movimenti che contestano la guerra e rivendicano l’urgenza di un «altro mondo possibile». Anche senza più potenze statuali alle spalle, la grande scommessa continua.

Rina Gagliardi

Liberazione